Se dovessimo citare, quanto meno nell’attitudine quali sono stati i padri fondatori dell’epic metal o quanto meno fare i nomi delle band di spicco e più influenti, quello dei Manilla Road riecheggerebbe spesso. Nati nel lontano 1976 in Kansas (quando i Manowar erano ancora adolescenti) dal cantante e chitarrista Mike Shelton (oggi unico membro originale rimasto in line-up), negli anni a seguire conquistarono pubblico e critica grazie a lavori bellissimi e seminali come Crystal Logic e Open The Gates, veri capisaldi del movimento epico.
Oggi, dopo 32 anni ed una formazione rinnovata da 4, tornano con un disco ispiratissimo, condizionato probabilmente anche dal nuovo contratto con la label bresciana MyGraveyard Productions, che aggiunge un altro tassello di prestigio al suo bill dopo l’entrata in questi ultimi anni di Dark Quarterer e Strana Officina. In pratica Voyager, composto da 9 tracce per un’ora abbondante di musica è un concept album (avventura già intrapresa in passato dai Manilla) dedicato ai vichinghi, che in questa storia sono costretti ad abbandonare i loro territori dopo esserci appena tornati per lottare in favore della libertà di espressione e religione, sulla loro nave chiamata "Voyager". La storia è ben strutturata e le liriche, sempre concrete e limpide ci portano in territori come il Canada e l’Islanda passando per la Groenlandia, terminando il viaggio in Messico, dopo aver combattuto battaglie e vinta la loro guerra. Musicalmente, non siamo di fronte ne ad uno scimmiottamento ne ad un aggiornamento delle sonorità madri della band, ma ad un semplice, roccioso e maestoso epic, dove la voce di Shelton fa da Cicerone passando per vari registri vocali, rendendo il lavoro vario ma allo stesso tempo omogeneo e compatto. Dopo una lunga introduzione che nella narrazione anticipa il tema alla base del disco, arriva subito la prima scheggia con “Frost And Fire”, aperto da un robusto riff di chitarra e sorretto dai colpi frenetici di batteria. La successiva “Tree Of Life” è semplicemente splendida e sicuramente miglior episodio del lotto: 8 minuti di metal di grande atmosfera dove la linea melodica della voce trascina l’ascoltatore verso paesaggi lontani ed evocativi. “Blood Eagle” aperta dall’organo (sempre a cura di Shelton, che in questi disco ha curato anche la produzione, il mixaggio e tutte le parti vocali) arriva fino al secondo minuto, dove poi un basso violentato regge la ritmica e il cantato in growl alternato a clean vocal mostra le due facce dell’opera: aggressivo, ruvido e monolitico a tratti ; melodico, fluido e compatto in altri. Se la title track, aperta da un arpeggio dolce e delicato funge da spartiacque alla raccolta, la successiva “Eye Of Storm”, ancora dall’approccio acustico ed intimista si rivela da subito ballata di grande impatto e ricca di pathos, si prosegue poi con le spigolose “Return…” e “Conquest” per arrivare alla conclusiva “Totenanz..”, che spezza l’ardore e l’impatto dei pezzi arrivati prima per chiudere nei migliori dei modi questo viaggio sonoro. In conclusione, Voyager è l’ennesima uscita di grande rilievo artistico per la MyGraveyard Productions ed ottimo prodotto per i Manilla Road per ripartire alla grande nel music business moderno. Se gli ottimi Christner e Patrick si rivelano più che semplici comprimari, un plauso va a Shelton, personaggio dal talento cristallino e vario, che qui getta le basi per un’opera metallica che in questo 2008 potrebbe rivelarsi ottima sorpresa. Piccolo dubbio soltanto per quanto riguarda la produzione in generale: spesso i suoni sembrano eccessivamente sporchi e le chitarre sovrastaste dalla batteria, ma è constatazione di poco conto nel contesto. "Up the hammers e down the nails! May The Lords of light be with you!" Bentornati. 80/100
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Mark (Shark) Shelton: Voce, chitarra elettrica e acustica, organo Anno: 2008 |