I milanesi Assedium, alla loro seconda fatica discografica, ci propongono un album interessante, dalla durata di circa un’ora e dalla produzione impeccabile: “Fighting for the Flame”, infatti, prodotto dalla My Graveyard Productions, è registrato ottimamente ed è fornito di un libretto molto curato, esplicativo di ciò che stiamo per ascoltare, grazie anche ai disegni presenti accanto alle parole, che rappresentano gli argomenti in modo efficace, tra l’altro, evitando di coprire i testi che, essendo leggibili, ci colpiscono perché altamente culturali.
La copertina, di stampo tipicamente epic, raffigura un antico guerriero che porta sulla testa, come ornamento, una pelle di leone, presumibilmente abbattuto in una strenua lotta; l’uomo, già ferito alla coscia, con una torcia in una mano ed una spada nell’altra, circondato da mostri armati, difende un altare su cui brucia alto il fuoco perenne. Sullo sfondo, un altro guerriero è incatenato, mentre un terzo ha addirittura disertato, in quanto impegnato in vicende certamente più piacevoli con una donna sdraiata sul campo di battaglia. Il significato simbolico è evidente: chi lotta per un ideale molto spesso si ritrova solo, perché gli ultimi che avrebbero potuto aiutarlo sono impossibilitati o addirittura tornacontisti. Condurre in solitudine una guerra, però, è possibile solo a chi è dotato di puro eroismo! All’interno del libretto, a controprova del nostro parere personale, c’è anche una dedica per tutti coloro che non dimenticano la fiamma e preferiscono morire lottando per essa anziché vivere senza, differenti da chi la dimentica, da chi non riesce a difenderla o da chi la lascia morire. Non è finita, perché in mezzo alle fiamme sono rappresentati anche i musicisti, che indossano, fieri ed agguerriti, giubbotti di pelle nera ed indumenti con i nomi di Judas Priest e Manilla Road. Infine, dopo i ringraziamenti, il gruppo si scaglia contro i poser che infettano la nostra scena, definendoli “disastro”; gli Assedium sono, pertanto, la “cura”: non possiamo che essere d’accordo con loro, sia su questo argomento che riguardo agli altri punti di vista. Dopo tanta teorica ortodossia, andiamo a verificare se la pratica è di pari livello; il disco si apre con “Winter is Coming”, ispirato a “A Song of Ice and Fire” di George R. R. Martin, che narra di una lotta tra lupi e leoni in un paesaggio invernale: brano non velocissimo, ma dalla ritmica possente e dalle chitarre melodiche, arricchito da un coro nel ritornello e da un pregevole assolo finale. Segue “The Flame”, pezzo presumibilmente allegorico, visto che descrive la lotta degli uomini per la luce, contro l’oscurità e persino contro gli dei: più veloce del precedente, presenta vari cambi di ritmo ed una buona prestazione finale del cantante. “Ivanhoe – The Knight Errant” è un epic ispirato al capolavoro di Sir Walter Scott e narra anche della celebre battaglia di Hastings tra inglesi e normanni: anche se in alcuni tratti ricorda la sabbathiana “Children of the Grave”, la canzone è segnata da un attacco di batteria marziale, seguito da un break lento e drammatico all’insegna di una chitarra maliconica, spezzato da un’accelerazione tipica del ritmo di battaglia; ricordiamo anche una parte recitata ed un efficace cadenzato medievale, che ricorda il suono delle cornamuse: com’è evidente, un brano di notevole spessore. Si torna alla normalità, o quasi, con “Primal Rage”, aperta da un ruggito proveniente dal periodo cretaceo, probabilmente appartenente a dinosauri preistorici in lotta per la sopravvivenza: orecchiabile, adatta come apertura di un concerto o come singolo, veloce, con un buon uso delle doppie voci ed un finale deflagrante. “White Goddess”, ispirata al saggio di Robert Graves, si apre e si chiude con due arpeggi lenti, inframezzati da un ritmo cadenzato. “Desecration” è un mid-tempo dal ritornello massiccio e dal finale rarefatto e misterioso, mentre con “Romanitas” riemerge l’epic, dapprima sontuoso e raffinato, quindi più compatto; il pezzo, tra l’altro, rievoca alcune parole incise ai Fori Imperiali e descrive gli spiriti, temprati da devozione ed orgoglio, in lotta contro i traditori, non per gli dei, ma solo per la gloria di Roma! “Achaean Glory”, dedicata ai fan greci, è una canzone notevole, veloce, che presenta ancora le doppie voci nel ritornello e, soprattutto, un finale con alcuni passaggi in rima ed un assolo molto pregevole; “Osiris”, naturalmente, è dedicata al noto dio della morte egizio, alla sua sposa Iside ed al figlio Horus, mentre riecheggiano note a tratti egiziane, altre volte dark. Si chiude con “Where Seawolves Dare”, che inizia in tranquillità con il suono del mare, su cui veleggia un uomo solo che, seguendo la rotta degli antichi navigatori, sfida eroicamente il mare, personificato nel dio Poseidone: il brano è lento, esaltato da un bell’effetto su voce e chitarra; dopo qualche minuto si solleva l’epic, incalzante, ben supportato dal cantante, quindi veniamo nuovamente affidati alla dolcezza del mare e del canto dei gabbiani per oltre due minuti: un lavoro d’effetto emozionale, quindi, degna conclusione di un disco epic metal. Il CD, quindi, non ha cadute di tono, a parte “White Goddess”, da cui ci saremmo aspettati un po’ di più, specie nelle parti lente; comunque, gusti personali a parte, l’album è certamente riuscito da ogni punto di vista ed è consigliato, quindi, agli amanti delle sonorità epiche e classiche, ma anche agli estimatori del rock più elaborato, visto che la tecnica musicale è presente in discreta quantità ed è di pregevole fattura. 85/100
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Fils: Voce Anno: 2008 Sul web: |