
La società frenetica in cui viviamo ci ha, purtroppo, abituato a consumare e “bruciare” tutto in tempi velocissimi.
Basta accendere un televisore, o entrare in rete usando un pc o un cellulare, per essere bombardati da contenuti visivi e musicali che quasi sempre sono paragonabili alla spazzatura. Tutto deve durare pochissimo e non deve oltrepassare i ridottissimi tempi medi della soglia di attenzione. Si sfiora sempre la superficie, non si approfondisce più e, quindi, appare quasi utopistico trovare ancora qualcuno che abbia ancora voglia di scandagliare un’opera di ingegno artistica e di raccontarla con trasporto e accuratezza.
Per questo, avere tra le mani un libro come The Doors attraverso “Strange Days” di Michele Tempera ha un che di miracoloso. L’autore, dopo avere lavorato per diversi anni nel settore della comunicazione, ha deciso (parole sue) di dare sfogo alla sua più grande passione e cioè la Musica. Il suo primo lavoro editoriale è di fatto una analisi profonda del secondo album dei Doors, disco pubblicato a settembre del 1967, e cioè otto mesi dopo il disco di esordio e in un momento in cui quest’ultimo era ancora in classifica.
L’introduzione del libro si concentra sulla genesi di Strange Days, le cui sessioni di registrazione iniziarono nell’aprile 1967 per concludersi nella seconda metà dell’agosto dello stesso anno. In questa parte del testo sono riportati alcuni aneddoti interessanti, scopriamo - ad esempio - che Bruce Botnick, il tecnico del suono dei Doors, portò con sé in studio una delle prime copie (disponibili in anticipo rispetto all’uscita ufficiale, avvenuta a giugno del ‘67) di Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band dei Beatles. L’ascolto di quel capolavoro dei Fab Four influenzò molto il risultato finale di Strange Days, poiché la band di Morrison in fase di composizione e di incisione si dedicò con estrema cura agli arrangiamenti e sperimentò l’uso di strumenti musicali insoliti per cercare soluzioni innovative e creare atmosfere particolari.
I capitoli successivi sono dedicati ai dieci brani contenuti nel disco (con l’aggiunta di “We could be so good together”, pezzo composto nello stesso periodo, ma finito nel seguente Waiting for the sun). Ogni canzone viene esaminata in modo tale da farne comprendere l’idea ispiratrice, la costruzione, il testo, l’interpretazione, lo stretto legame tra musica e parole, la strumentazione utilizzata e gli arrangiamenti adottati.
A titolo di dimostrazione, così viene esplicitato l’episodio storico all’origine di “Horse Latitude” (la latitudine del cavallo): “Esse prendono il nome da zone geografiche dell’Oceano Atlantico dove si vengono a creare lunghi periodi di bel tempo. Queste situazioni metereologiche erano pericolose nei secoli passati, quando si disponeva della sola navigazione a vela, visto che la mancanza di vento e correnti marine allungava indefinitamente i tempi di viaggio. Inoltre, le scarse o nulle precipitazioni mettevano a rischio la vita degli equipaggi che disponevano solamente di una ridotta quantità di acqua dolce a bordo. Perciò, in questi casi i marinai gettavano in mare i cavalli per risparmiare la preziosissima acqua e potere sopravvivere, viaggiando più leggeri, fino al porto di destinazione”. La canzone si concentra, dunque, sul momento in cui i marinai spingono gli animali in mare e sulla descrizione della agonia dei cavalli che affogano. Così viene spiegata la poetica del brano: “Il senso profondo della poesia può essere interpretato tenendo presente che il cavallo, pur essendo bellissimo e aggraziato, è tuttavia sacrificato senza indugi dall’uomo al fine di ottenere la propria egoistica salvezza”. E ancora: “Concentrandosi sull’agonia del cavallo, simbolo di grazia e armonia, il testo di Morrison ci mette di fronte l’effimero rispetto che nutre l’essere umano per la bellezza. Egli è infatti pronto, se costretto, ad ignorarne eleganza, dignità e nobiltà, anteponendo ad esse le proprie esigenze primarie ed immediate, come, appunto, la sopravvivenza in mare”. Così, invece, viene descritto l’accompagnamento sonoro: “(…) le parole evocative di “Horse latitudes” scorrono ruvidamente su di un sottofondo creato appositamente in studio di registrazione per sostenerne l’impatto tragico e teatrale. Esso ha l’obiettivo di risultare sia surreale che di supporto alla voce, il tutto senza sovrastare le parole che vengono ardentemente recitate. (…) A partire dal momento nel quale la nave non può più proseguire, emergono suoni volutamente sconnessi e inquietanti. Essi contribuiscono in maniera convincente a ricreare l’atmosfera di disorientante smarrimento improvvisamente discesa tra i marinai a bordo della nave bloccata (ascolto dal min. 0.32 fino al min. 0.49). (…) Sperimentali ed innovativi, questi rumori sembrano portarci in un mondo di spiriti inquieti che danzano in modo minaccioso intorno alla nave e al cavallo in agonia (ascolto dal min. 0.50 al min. 1.25). Nei solchi del vinile si concretizza così, in maniera tangibile e senza mezzi termini, la volontà espressa a più riprese dalla band di introdurre altre forme d’arte, in questo caso la poesia e la recitazione, nella loro performance complessiva. La band californiana spinge qui la sua ricerca di nuove forme espressive fino ad includere pienamente la poesia propriamente intesa. Ne risulta una potente forma di comunicazione, certamente impossibile da trascurare”.
Un chiaro esempio relativo all’approfondimento della ricerca sonora dei Doors si incontra nel capitolo dedicato a “Unhappy girl” (il brano, tra l’altro, è strutturato come un breve racconto simile ad un cortometraggio, perché non va dimenticato che Morrison e Manzarek si erano conosciuti nel 1964 frequentando la Facoltà di Cinematografia all'Università della California di Los Angeles): "Il suggestivo arrangiamento è costituito principalmente, ma non solo, da due strumenti che dialogano tra loro e, combinandosi insieme, si rivolgono alla ragazza: l’organo elettrico e la chitarra elettrica. Il primo elemento è dato dall’organo di Manzarek, la cui parte dopo essere stata trascritta, viene suonata al contrario dal tastierista in studio, leggendo le note da destra a sinistra e andando dal basso verso l’alto del pentagramma. Anche il nastro è mandato al contrario durante la registrazione dello strumento, per poi essere rimandato successivamente in avanti nella versione definitiva che finirà su vinile. Questa modalità di registrazione conferisce un’andatura insolita all’organo elettrico, fluida e discontinua allo stesso tempo. Il suo suono liquido e beffardo assomiglia alla corrente di un ruscello che incontrando alcuni massi sul suo percorso, vi si infrange e cambia direzione per ripartire. Ciò contribuisce a rendere l’atmosfera dell’intero brano ancora più originale, voluttuosa, innovativa e psichedelica".
Il consiglio è quello di leggere il libro almeno due volte, la prima: per conoscere i fatti e apprezzare lo stile di scrittura dell’autore; la seconda: per cogliere tutte le finezze sonore messe in campo dalla band, ascoltando il disco seguendo la dettagliata descrizione dei brani che vengono “vivisezionati” minuto per minuto, anzi secondo per secondo.
Altro pregio della scrittura di Tempera è il frequente utilizzo di similitudini calzanti che servono a descrivere le musiche: è il caso di “I can’t see your face in my mind” quando, in merito all’uso dello xilofono, troviamo il seguente commento “L’insolita percussione segue il moto altalenante degli strumenti con frequenti punteggiature, assomigliando a piccole gocce di cristallo che si infrangono sull’arrangiamento. (…) La strofa scivola delicatamente nel ritornello, come l’onda di un mare calmo su di una spiaggia assolata. Creando così una continuità piacevole e levigata. (…)”.
Per sottolineare la capacità di sperimentazione dei Doors, viene posta sempre particolare attenzione alla strumentazione usata dal gruppo; per esempio, trattando di “Love me two times”, si evidenzia come l’impiego del clavicembalo per l'assolo di tastiere sia uno dei primi casi di utilizzo di uno strumento antico nell’ambito della musica Rock.
In ultimo, ma non per questo meno importante, tutto il disco, grazie ad una puntuale riflessione sociologica, è ben inquadrato nel momento storico in cui fu concepito (cioè la seconda metà degli anni '60 del secolo scorso). Quella stagione segnò la nascita della “controcultura” americana. In quel periodo i giovani, percependo in maniera fortissima il divario generazionale, cominciarono a ribellarsi e a protestare contro usi e costumi conservatori. Pressante e urgente divenne il desiderio di fuga verso la libertà. Tutti i brani dell’album raccontano per immagini e sensazioni quell’epoca, Morrison ed i suoi sodali colsero con estrema sensibilità lo spirito dei tempi, compresero appieno quello che stava accadendo e trasferirono nelle loro canzoni tutte quelle inquietudini e quella voglia di cambiamento.
Immergersi in questo libro consente, dunque, al lettore di conoscere a fondo quello che, nelle pagine conclusive, viene definito come uno “tra i più bei dischi pubblicati in quel periodo, i quali, seppure talvolta migliori, non riescono però a valorizzare in maniera altrettanto immediata le parole ed il loro significato attraverso la musica. Una capacità derivata da tecniche di comunicazione teatrali e cinematografiche, padroneggiate grazie agli studi universitari di Morrison e Manzarek e perfezionate ulteriormente dall’inventiva degli altri due membri”.
A noi, quindi, non resta che ringraziare Michele Tempera, il quale, con rigore, zelo e passione, esaminando Strange Days da ogni angolazione possibile, ci ha donato una visione approfondita di questa grandiosa opera musicale e ci ha aiutato a comprendere meglio il complesso universo della storica band californiana.
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*Gli estratti del testo sono pubblicati per gentile concessione dell’Autore.
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Autore: Michele Tempera Casa editrice: Youcanprint Formato: 15 x 21 Pagine: 178 c.a. Uscita: Giugno 2024 ISBN: 9791222743660 Prezzo: 13,00 €
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Per approfondimenti sulla musica dei Doors Michele Tempera ha creato il blog: https://www.strangedaysbook.it/
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