Servizio fotografico a cura di Salvo Contarino
Il secondo capitolo del Fano Jazz Festival, dopo l'apertura del notevole Nguyên Lê, è affidata a John McLaughlin & The 4th Dimension, ragionevolmente, l'appuntamento più imponente del pur ottimo cartellone 2011.
Quasi superfluo snocciolare il pedigree di un musicista che è nel novero dei più grandi chitarristi viventi e con uno spettro di azione estremamente ampio. Basterà rammentare la sua partecipazione alle storiche sessions di Bitches Brew, di Miles Davis ed il ruolo giocato dalla sua Mahavishnu Orchestra che seppe schiudere, con i Return to Forever di Chick Corea ed i Weather Report, un nuovo orizzonte al jazz in grado di avvalersi degli strumenti e delle tecnologie mutuate dalla musica rock e funky. Proprio da questa folgorazione, prese forma il jazz elettrico, la fusion, il jazz rock. Ad onor del vero, ogni tentativo di classificazione andrebbe stretto ad un'idea di musica tanto totalizzante.
Il chitarrista inglese fa il suo ingresso sul palco della rassegna, seguito dai membri costitutivi della sua ideale quarta parete sonora, dopo aver ascoltato dietro le quinte la breve, ma calorosa quanto emozionata, presentazione del direttore artistico Adriano Pedini. Assieme a McLaughlin fanno la loro apparizione l'ottimo Etienne Mbappe (già al fianco di Joe Zawinul), soluzione felicissima che apporta compattezza e equilibrio ritmico, mitigando alcune delle intemperanze virtuosistiche del suo predecessore, Hadrien Feraud; l'indiano Ranjit Barot alla batteria ed il talentuosissimo Gary Husband (che nasce batterista) alle keys che in almeno due occasioni lascerà per esibirsi dietro la sua Gretsch in alcuni pregevoli drum duet accanto a Barot.
Il repertorio, complessivamente, concede poco al materiale elaborato nel 2010 e riversato nel bel disco To The One e si schiude sulle strutture di "Raju"; McLaughlin fa ricorso ad una sola chitarra ed un pugno di effetti rifuggendo dall'impiego dell'amplificazione. Il fraseggio è rapido e cristallino sulla tastiera della sei corde, suona quartine velocissime ed è il riferimento costante per ogni serrato dialogo tra il basso e la sua elettrica. Mancano frasi di ampio respiro, ma l'imprimatur di fabbrica dell'inglese ha un'altra matrice: patterns ampi, limitati cambi di dinamica e sparute frasi cantabili.
Scritto da McLaughlin è anche "New Blues Old Bruise", estrapolato da Industrial Zen del 2006. Il ritmo è incalzante, scandito in maniera marcata. Husband ora improvvisa con la mano destra, con la sinistra, invece, fa ampio ricorso alla modulation wheel. Si innesta Mbappe con un assolo vigoroso, estremamente coinvolgente. Nessuna intenzione da parte di McLaughlin di accostarsi ad altre sonorità, grande spazio lasciato ai compagni di viaggio. Barot, fa il suo solo sull'ostinato di Husband e guadagna l'applauso della platea a scena aperta. La chitarra recupera il tema, il fraseggio è lavorato ora all'unisono con il basso.
Le zone franche aperte alla improvvisazione sono galvanizzanti, i quattro si producono in "Unknown Dissident" ed il chitarrista inglese impiega al meglio il criterio della sintesi, allontanando talune esuberanze funamboliche del passato. Robustissima "The Fine Line", pezzo incardinato sul primato del basso di Mbappe.
Tutto il concerto è un profluvio di scale complesse, armonizzazioni, bending stoppati, intrecci blindati e sterzate in direzione di costruzioni musicali eteree, colmate dai synth di Husband e dal controllo del suono messo a punto sul suo Mac.
McLaughlin a tratti sembra patire un tantino l'assenza di un secondo solista che potrebbe garantire una più consistente varietà al set e forse privilegia troppo l'inclinazione rock, con volumi alti e poche dinamiche ma riscopre ed accentua il suo ruolo ritmico. Le composizioni proposte, denotano tutte la presenza di un criterio quasi filologico, gravide di passione, tese a trasfigurare le difficoltà terrene, a volgere l'uomo verso quella spiritualità che ha marcato evidentemente, ed ineluttabilmente, il cammino di un chiaro riferimento come il nume tutelare, John Coltrane, cui, viene idealmente dedicato il bis finale.
Ci troviamo al cospetto di un jazz elettrico che è visceralmente e carnalmente in debito con la musica modale e di interazione lirica del grande sassofonista.
Così la scelta ricade su una versione quasi sacrale del totem "A Love Supreme" in cui gli strumenti ed il tema cedono, ben presto, il passo al refrain cantato dai quattro a cappella fino a renderlo un sussurro lievissimo che li dissolve lentamente dalle luci della scena.
John McLaughlin: Chitarra
Gary Husband: Tastiere, batteria
Etienne Mbappe: Basso elettrico
Ranjit Barot: Batteria
Data: 25/07/2011
Luogo: Fano - Teatro della Fortuna
Genere: Fusion