Servizio fotografico a cura di Kharma of LastFm Community e di Andrea Ziliani
I Kiss non sono certo il tipo di gruppo che ha bisogno di presentazioni, visto che persino i soggetti più lontani da qualunque forma di rock conoscono un loro pezzo: facile immaginare quale sia la canzone oggetto della nostra discussione, visto che “I Was Made for Lovin’ You” è stato probabilmente l’esempio di brano disco-rock più riuscito nella storia della musica internazionale, insieme a “Another One Bites the Dust” dei Queen e “Jump” dei Van Halen. Se da un lato l’ibrida commistione tra rock e discoteca fece storcere il naso ai seguaci del rock più puro, dall’altro quest’operazione, evidentemente commerciale, fu il mezzo per far conoscere la formazione fuori dal loro ambito tradizionale.
La leggendaria band torna a calcare un palco italiano in occasione del trentacinquesimo anniversario della loro nascita, che risale appunto al 1973: da quei tempi tante cose sono cambiate, compreso il conto in banca del gruppo, che si può ormai concedere strutture faraoniche, ma anche di grande intensità dal punto di vista dello spettacolo. In questo caso, il concerto si preannuncia ancora più suggestivo, visto che si tiene in una location prestigiosa come l’Arena di Verona; l’attesa è enorme, tanto che i biglietti per la gradinata sono esauriti da parecchio tempo.
Fin dal primo pomeriggio i fan dei Kiss, giunti da ogni parte d’Italia, meridione compreso ed alcuni anche dall’estero, affollano Piazza Bra e le zone limitrofe: chi visita i monumenti, chi acquista cartoline, chi si concede una pausa al bar, chi, con la speranza di raggiungere i posti migliori possibili, comincia a mettersi in fila, chiacchierando con i vicini. Mentre attendiamo l’apertura, com’è prevedibile, iniziano siparietti semifolkloristici, come gente che si trucca reciprocamente cercando di somigliare ai propri idoli; la scena madre è, a nostro parere, un bambino truccato tenuto per la mano dai due genitori: una famiglia-Kiss! Alle 19.30 vengono finalmente aperti i cancelli e la gradinata non numerata si riempie ben presto; osservando lo svolgersi degli eventi, notiamo che il palco occupa all’incirca un terzo dell’Arena, mentre la restante parte si riempie di persone festanti.
Dopo circa un’ora, mentre ormai sta scendendo la sera, appare il gruppo spalla, i Cinder Road, che, francamente, non avevamo mai sentito nominare. Dall’ascolto del primo brano, giudichiamo - troppo frettolosamente - che si tratta di esecutori di FM rock, radiofonico, orecchiabile, ma troppo leggero per il nostro udito, abituato ad essere maltrattato in modo molto differente; in realtà ci accorgiamo presto dei problemi audio alle chitarre, che, quindi, pur essendo addirittura tre in alcune canzoni, sono piuttosto giù di corda. Il secondo pezzo è un rock’n’roll lievemente migliore, mentre il terzo è un mid-tempo di ispirazione bonjoviana; il quarto sta, invece, per portarci alla piena esasperazione, visto che il brano, cadenzato, ricalca lo stile degli Hanson.
Ci sembra ormai evidente che si spazia dal rock commerciale al quasi pop, generi ben suonati ma assolutamente fuori luogo, a nostro avviso; durante le ultime canzoni, però, c’è qualche miglioramento, grazie anche alla risoluzione dei problemi audio ed alla corretta valutazione delle chitarre: “I Still Want You” è un rock’n’roll veloce, ai limiti dell’hard rock, con un pregevole riff e dei cori ben organizzati, mentre “Get In Get Out” ricorda qualche atmosfera dei Black Crowes. A nostro parere, è principalmente la voce del cantante a non essere molto appropriata, non certo come tecnica o intonazione, quanto perché ancora troppo acerba come timbro. Un breve tributo a “We Will Rock You” dei Queen chiude il concerto verso le 21.
A chiunque tremerebbero le gambe ad aprire per i Kiss, per giunta in un posto magico come l’Arena, ma, al pensare che un tempo ad aprire erano gli Iron Maiden, non può non restare un po’ d’amaro in bocca, anche se tecnicamente gli strumentisti hanno dato tutto sul palco ed il cantante ha spesso cercato il dialogo con il pubblico, che ha risposto, secondo noi più per educazione ed ospitalità che per reale convinzione. Un gruppo “leggerino”, quindi, che magari avrà soddisfatto pienamente qualche discotecara intervenuta alla serata solo per sentire la canzone di cui abbiamo già parlato, ma non può certo bastare ai fan storici dei Kiss, come hard rocker e metallari, presenti in grande quantità.
Dopo una lunga attesa, dovuta allo smontaggio degli strumenti ed alla nuova predisposizione del palco, tutto è pronto per i Kiss ed ormai l’Arena è gremita in ogni ordine di posti: pensiamo di non sbagliare nello stimare circa 13000 spettatori, anche se non abbiamo riscontri ufficiali. Alle 21.40 il telo nero che copriva il palco viene lasciato cadere e si spengono le luci, creando una notevole atmosfera, visto che, d’improvviso, si accendono le luci dei telefonini, pronti ad immortalare l’istante fatidico.
Si leva alto il celeberrimo grido: “You wanted the best, you got the best! The hottest band in the world… Kiss!!!”. Ed è subito spettacolo, dato che un inizio nel segno della travolgente “Deuce” non è certo possibile per chiunque. Al comando di Gene Simmons, avvolto nel suo storico costume da vampiro, la gente alza le mani, come in estasi, per le movenze del cantante-bassista e dei due chitarristi, che si muovono all’unisono, come tante volte abbiamo visto nei filmati storici. La visibilità è molto buona, ma viene esaltata da quattro schermi (due ai bordi del palco, due a fianco della batteria, che è rialzata rispetto al palco stesso) che riflettono l’immagine ingrandita dei musicisti. Segue “Strutter”, cantata da un Paul Stanley piuttosto in forma, a nostro giudizio, sia alla voce che alla chitarra ritmica; alla fine del brano vengono fatti esplodere dei fuochi artificiali, che completano il complesso gioco di luci.
Dopo due pezzi di tale forza evocativa potremmo già dirci soddisfatti, ma non è che l’inizio di una scaletta quasi tutta imperniata sulle canzoni di “Alive”, con pochissime incursioni nel periodo successivo al 1975. Paul Stanley chiacchiera con i presenti, da vero frontman qual è: colpito dal calore di Verona, Stanley sostiene che un pubblico simile è come una famiglia per i Kiss e, inevitabilmente, la gente ricambia con altre testimonianze di affetto; Paul decide, pertanto, di fare urlare a turno le persone: dapprima un lato, quindi un altro, infine la parte centrale dell’Arena. Parte “Got to Choose”, con quei coretti in perfetto stile anni ’70, seguita da una riuscita “Hotter than Hell”, al termine della quale il cantante ringrazia in lingua italiana gli spettatori. Quando Stanley si toglie la maglia, le donne presenti, in visibilio, iniziano ad urlare, nel pieno scenario di una isteria di massa; in modo più obiettivo, comunque, anche noi uomini non possiamo fare a meno di notare che possiede ancora un fisico invidiabile, nonostante abbia superato i cinquantacinque anni.
Si arriva a “Nothin' to Lose”, cantata egregiamente dal batterista Eric Singer, nel tradizionale ruolo che fu del “gatto” Peter Criss; un gradito ritorno quello di Eric, già apprezzato all’epoca di “Revenge”, dopo la morte prematura del compianto Eric Carr, che ci sembra doveroso ricordare per ciò che ha rappresentato nella nostra adolescenza. Lo stile è senz’altro diverso: più “picchiatore” Criss, più raffinato Singer, anche nelle parti vocali, in cui Criss aveva un timbro più rauco e non molto accattivante, anche se caratteristico. Mentre Stanley, soddisfatto per la partecipazione, ci grida “You are the Kiss Army”, parte “C'mon and Love Me”, abbastanza simile alla versione in studio.
Un altro momento di spicco è “Parasite”, brano dal grandissimo riff, praticamente heavy metal, con un interessante effetto scenico: Gene si posiziona a sinistra, Paul a destra, il chitarrista solista Tommy Thayer al centro del palco. E’ come se i due veterani volessero lasciare la scena al nuovo arrivato, che non fa rimpiangere Ace Frehley, né come tenuta da “uomo dello spazio”, né dal punto di vista del solismo, visto che Thayer si lancia in assoli pregevoli, capaci di far dimenticare il mito di Frehley, anche perché il predecessore non era certo immune da pecche. Un lungo spazio per Thayer è ricavato all’interno di “She”, durante l’esecuzione della quale anche Simmons si lancia in un breve assolo. E’ spettacolo puro: Paul Stanley muove il bacino, effettuando evidenti movimenti pelvici, degni del miglior Elvis Presley, oppure, se preferite, in perfetto ambito glam, settore in cui i riferimenti sessuali sono sempre stati predominanti; tornando alla musica, l’assolo di Tommy strappa applausi, anche perché suona da virtuoso per un po’ di tempo, ponendo la chitarra sopra la testa, mentre la conclusione è ancora affidata ai fuochi d’artificio.
Si continua con “100.000 Years”, rock’n’roll trascinante, durante il quale Stanley gioca con il microfono, dapprima roteandolo sopra la testa, quindi facendolo girare attorno al collo, a mo’ di strozzamento, naturalmente fermandosi molto prima dell’irreparabile. E’ giunto il momento per l’assolo di batteria di Eric Singer, dapprima tecnico, poi più aggressivo: in una parola, meraviglioso, tanto che si alzano forti i cori e gli applausi. Stanley ci rende noto che la tappa di Verona lo sta veramente esaltando e si rivolge al pubblico con i termini “handsome e beautiful people”; successivamente presenta “Cold Gin”, brano storico, in cui avviene il duetto chitarra-basso, che fa muovere un Simmons fino ad ora, a nostro avviso, un po’ assente, anche se ha come attenuante il fatto che l’armatura che si porta sulle spalle non è certo leggera. Finito il pezzo, Paul ci volta le spalle, abbracciando se stesso, come a far capire di star mimando un abbraccio con gli spettatori, poi si tocca i capezzoli del torace, continuando con i riferimenti espliciti: parte così “Let Me Go, Rock & Roll”, arricchita da un breve assolo di Gene e dal finale, con Singer in eccellente prestazione e, soprattutto, con l’illuminazione della grande scritta KISS posta in alto dietro la batteria.
Su “Black Diamond” dapprima Paul la fa da padrone con l’arpeggio iniziale ed il riff, quindi nuovo spazio per la voce di Eric, accompagnata dai fuochi, che vengono sparati più volte durante la canzone. Si termina con “Rock and Roll All Nite”, cantata a squarciagola dai presenti; i fuochi si fanno più alti, di colori diversi, mentre dai pressi del palco vengono sparati anche dei foglietti di carta rettangolari, bianchi, simili ai coriandoli, ma di dimensioni maggiori, che presto coprono l’intera Arena: un effetto di grande intensità artistica ed emotiva. Al termine, Stanley spezza la chitarra, sbattendola violentemente a terra; dopo aver simulato una masturbazione con il manico, lancia entrambi i pezzi verso il pubblico estasiato.
I Kiss, chiamati a gran voce, tornano sul palco per i bis verso le 23, anche se quanto visto finora potrebbe già soddisfare ampiamente i presenti. Prima di riattaccare, però, i nostri vengono premiati con un grande quadro luccicante (su cui compare la scritta “Over 100 million sales worldwide”: un record difficilmente eguagliabile, effettivamente), regalo dei fan per i trentacinque anni di attività e per la prima, storica tappa a Verona. La contentezza dei musicisti è evidente, tanto che Paul, conoscendo in anticipo la risposta, chiede retoricamente: “Torniamo l’anno prossimo?”. Ricordato anche il compleanno di Eric, relativo al giorno precedente, parte “Shout It Out Loud”, dal ritornello accattivante: è il primo bis, ma in realtà è solamente un nuovo inizio. Stanley ci fa sapere che, tra i prodotti italiani, gli piace mangiare pasta, spaghetti con le vongole e gli piace anche muovere la lingua…: è la naturale presentazione di “Lick It Up”, esplosiva e coinvolgente, fino ai fuochi d’artificio finali.
E’ finalmente il turno dell’assolo di Gene Simmons, che inizia a maltrattare il basso e, nel frattempo, come da tradizione, sputa sangue a lungo, per poi mostrarci la celeberrima e lunghissima lingua, ottenendo una scena dal notevole effetto. Improvvisamente il vampiro si libra nell’aria e, atterrato su un piedistallo posto più in alto della batteria, annichilisce l’auditorio (che era già in estasi per lo stupendo effetto scenico) con “I Love It Loud”, caratterizzata da una grande partecipazione con cori da brivido.
Ma non è finita: la tanto attesa “I Was Made For Lovin' You” viene modificata e storpiata da Paul Stanley, sia perché l’avrà cantata migliaia di volte ed ormai la interpreta in modo differente dall’originale di quasi trenta anni fa, sia perché è momentaneamente debilitato, a causa di una bronchite che pregiudica un po’ gli ultimi pezzi, in cui è l’esperienza ad esser chiamata a rimediare in qualche situazione deficitaria. Ci piace pensare, anche se probabilmente non è così, che la canzone sia stata storpiata anche per l’eccessivo successo commerciale del passato; soldi a parte, non crediamo che ad una rockstar faccia piacere constatare che il suo brano più famoso è proprio quello che viene passato in discoteca.
C’è ancora spazio per un’esplosiva “Love Gun”, cantata con passione da tutta l’Arena, mentre il gran finale spetta a “Detroit Rock City”, con un assolo di entrambi i chitarristi e la batteria che si solleva, in un tripudio di luci, miste a numerosi fuochi d’artificio conclusivi, per la chiusura alle 23.45, dopo due ore di grande spettacolo, nel vero senso della parola.
In mezzo alle note della registrazione di “God Gave Rock’n’Roll to You II”, la gente lascia ordinatamente l’Arena, continuando a cantare “I Love It Loud” e girovagando tra le bancarelle delle magliette, cercando un ricordo indelebile di questa bellissima serata. Ci fanno buona compagnia prima una folla numerosa durante il tragitto per arrivare alla macchina, poi un lungo serpentone di automobili dal centro di Verona fino all’autostrada.
In definitiva, una serata eccellente, a cominciare dall’acustica perfetta per finire con luci e fuochi d’artificio professionali. Stanley nel finale è stato un po’ sottotono, ma la bronchite è certamente un valido alibi; Simmons, come scritto prima, ci è parso un po’ in ombra rispetto al collega, ma è stato, come sempre, efficace nei momenti clou; Thayer è stato certamente la rivelazione della serata, mentre eleggiamo Singer come elemento tecnicamente più valido.
Si sarebbero potute scegliere tanti altre canzoni lasciate fuori dalla scaletta, come alcune perle degli anni ’70, ’80 e ’90, tra cui “Beth”, “Christine Sixteen”, “God of Thunder”, “Heaven’s On Fire”, “Tears Are Falling”, “Forever”, “Unholy”, “I Just Wanna”, ma evidentemente sarebbero state fuori posto in un omaggio alla Storia, come quello che è stato rappresentato all’Arena: del resto, non sono tante le band che possono permettersi di lasciar fuori tanti capolavori, ottenendo ugualmente una scaletta prestigiosa. C’è stata qualche piccola imperfezione qua e là, ma è normale, in fin dei conti, dato che ciò che si richiede ad un concerto dei Kiss non è il virtuosismo fine a se stesso, bensì il divertimento, l’energia e lo spettacolo: in questo i Kiss sono maestri indiscussi e riconosciuti, niente affatto prossimi al pensionamento, visto che le nuove leve del rock, purtroppo per gli ascoltatori, hanno un concetto molto personale del termine “spettacolo”, per non dire limitato e farraginoso.
di Giuliano Latina
L’atmosfera a Verona è già chiara sin dalla mattina: il ritorno dei Kiss in Italia non va interpretato come un semplice concerto rock, ma come un vero evento, una messa in salsa heavy che riunisce decine di migliaia di persone ogni volta che le 4 maschere più famose della musica moderna si spostano. Non ha fatto quindi eccezione la tappa nella città di Romeo e Giuletta, prima data in Italia da 10 anni a questa parte, quando il “bacio” riunito in formazione originale fece scalo per il “Psycho Circus 3D Tour” a Milano. Al mio arrivo alla stazione Porta Nuova la Kissarmy è già attiva: per le strade si cantano i ritornelli nella band e per le vie della città si sta già effettuando, a diverse ore dall’inizio dello show “lo spettacolo nello spettacolo”. Ragazzini adolescenti truccati come Simmons, capelloni con borchie e pantaloni di pelle con le magliette che ritraggono i 4 newyorkesi ai tempi dei primi 4 album solisti ed anche diversi 50enni stempiati o brizzolati, adesso con qualche chilo in più rispetto “ai bei tempi” che magari nella vita son padri di famiglia o avvocati, imprenditori o semplici operai. Ma oggi niente divisione: l’amore e la passione per Paul Stanley e Gene Simmons abbatte ogni barriera sociale e temporale…il sorriso sul volto di chi sta andando verso l’Arena è identico stampato sul volto di tutti. Arrivati all’interno della splendida location veneta, vediamo in pochissimo tempo riempire tutti gli spazi disponibili: dagli spalti in roccia fino alle poltrone rosse a pochi metri dal palco, tutto questo mentre i tecnici montano le attrezzature e piazzano fuochi d’artificio dietro la struttura.
Il sole sta calando, uno splendido cielo sereno lascia spazio al blu della sera: sono le 20:45 quando entrano sul palco i Cinder Road. Il quintetto del Maryland, confeziona una mezz’ora abbondante di hard rock moderno, in bilico tra melodia e muro di chitarre (ben 3) dove si alternano perfettamente momenti di pura melodia quasi al limite del pop a pezzi up-tempo ritmati e coinvolgenti. Il cantante Mike Rocco è un buon entertainament ed oltre che ad avere una buona voce si muove con disinvoltura nonostante l’occhio intrasingente di 12.000 persone puntate su gli occhi. Le antemiche “Should’ve Know Better” e “Get In Get Out” i migliori episodi del set, con qualche anticipazione pure del nuovo album previsto per il 2008. Certo, aprire per i Kiss sarebbe impresa ardua per tutti, ma va riconosciuto ai Cinder Road di essere una band di tutto rispetto, nonostante non propongano niente che vada al di fuori dei soliti clichè del rock moderno, suonato però in maniera rispettabile. Ormai è notte, la luna ha preso il sopravvento ed avvolto Verona, ma il clima è buono: nonostante siano le 21 passate si può stare anche in t-shirt, sarà che gli spiriti son bollenti per quello che sta per arrivare.
Infatti con il classico ritardo delle rockstar (ore 21.40 circa) che lo speaker annuncia la band : “Verona!! You wanted the best! You got the best! ... The hottest band in the world ... KISS!!!!” e via che parte il riff di “Deuce”. Gene impugna il microfono mentre Stanley comincia subito a scaldare la folla con i suoi balletti androgini ed inequivocabili. Il boato è assurdo e The Demon non si sente, viene sovrastato dai presenti che cantano a squarciagola il motivetto del pezzo. Ma non c’è tempo per convenevoli e la band attacca subito “Strutter” con Starchild al microfono. Quel che si evince da subito è che Tommy Thayer (chitarra) ed Eric Singer (festeggiato per il suo 50esimo compleanno) hanno migliorato la loro presenza scenica: il primo oltre che ad essere iconograficamente la copia di Ace Frehley si lascia andare anche in soli di chitarra pomposi e tamarri, con tanto di razzi che partono dal manico delle sei corde, ed il secondo oltre che ad una sicurezza dietro le pelli maggiore interagisce con i presenti e nell’intermezzo di “100,000 Years” si lascia anche ad un assolo di ottima fattura tecnica, proprio come nel must assoluto della band Alive!. Arriva così il momento della logorante “Parasite” (sempre da Hotter Than Hell verrano riproposte la splendida title track e la melodia perfetta di “Got To Choose”, terza nella tracklist e “Watchin’ You”) anticipata da “Firehouse” e “Nothin’ To Loose”, altro tuffo nel passato più remoto della band. Stanley, visibilmente commosso si scusa per averci messo così tanto per tornare nel nostro Paese, e chiede a tutta l’Arena se gradiscono un loro ritorno il nuovo anno…inutile dire quale sia stata la risposta all’unisono. Ma nonostante il “tenero momento”, tutt’altro che intimo, lo show deve continuare, quindi dopo una serie di fuochi di artificio sparati (prevalentemente di colore blu ed arancione) un Simmons sempre più caldo ed a suo agio al lato sinistro del palco intona “Watchin’ You” e “She”. La sua voce, nonostante risenta dell’usura del tempo mantiene però intatta la sua potenza e “gutturalità”, quindi non è un caso ricercare tra gli episodi migliori “She” e “Let Me Go, Rock’n’Roll”, primo manifesto d’intenti inciso dai Kiss per il loro pubblico. Arriva poi il momento della dinamitarda “Black Diamond” (anticipata dal solito intro di Stanley allungato all’inverosimile), dove chiede la carica alle prime file, per poi fare esplodere le bacchette e la voce “soul” di Singer, per una versione che non fa rimpiangere quella originale di Peter Criss.
Tra altri razzi e macchine che sparano coriandoli bianchi sul pubblico si arriva quindi a “Rock’n’Roll All Nite”, non sono l’anthem per eccellenza dell’ensemble, ma un vero e proprio rituale musicale dove tra balli sfrenati ed ancora il canto dell’Arena a sovrastare quello del Demone si chiude il cerchio e dopo 75 minuti anche la prima parte dello show: infatti si spengono le luci dei riflettori ed i quattro lasciano il palco. Al loro rientro vengono accompagnati da uno degli organizzatori che mostra la splendida vetrina con tutti i membri della band dal 1973 ad oggi, piena di dischi in acciaio, per celebrare non solo i 35 anni di carriera ma anche il superamento dei 100 milioni di dischi venduti regalata dai fan dello stivale. Si attacca poi con “Shout It Out Loud” e la pornografica “Lick It Up” mixata con la cover degli Who “Won’t Get Fooled Again”. Alla fine dell’esibizione Stanley, dopo svariati inviti, fa roteare la sua chitarra argentata fino a frantumarla contro la base del palco e spezzarla in due pezzi: il manico servirà poi come “allungamento” nella zona pelvica, con discutibili movenze un po’ volgarotte..ma questo signori, che vi piaccia o meno, è un 56enne ebreo che ha fatto fortuna col rock e con la sua splendida voce, non chiedetegli di non essere quello che non è. Un altro worst moment, nonché classico dello show del bacio è il solo di basso di Gene che anticipa la sua elevazione su un struttura posta in vetta al palco: da li intonerà la richiestissima “I Love It Loud”: ed è ancora puro delirio. Il microfono ritorna quindi a Starchild che è in evidente debito (il giorno dopo si verrà a sapere che nonostante una bronchite si è voluto esibire lo stesso) intona in fila “I Was Made For Lovin’ You”, “Love Gun” (il ritornello è lasciato completamente alla folla), per poi passare alla conclusiva ed immancabile “Detroit Rock City”, con la quale i Kiss dopo 115 minuti abbandonano definitivamente la scena tra la felice incredulità generale, la classica incredulità di chi ha appena materializzato di aver assistito ad un qualcosa che ha il sapore dell’unico, ancor prima che del raro.
L’impianto luci illumina l’Arena, la gente commossa e felice abbandona tra le note di “God Gave Rock’n’Roll To You”, il trucco si è sciolto ed adesso cola misto al sudore tra il volto dei presenti. Signori e signore, questo è il resoconto di una giornata speciale per chi come il sottoscritto ha atteso una vita per assistere ad un concerto dei suoi beniamini e che nel momento che impatta i polpastrelli sulla testiera del pc prova a distanza di ore ancora un senso di nostalgia e tristezza per un qualcosa che potrebbe non ripertersi. Oggi sarete solo una macchina mangiasoldi e degli aziendalisti senza scrupoli, ma io non posso fare a meno di ringraziarvi per tutte le emozioni che mi avete fatto provare in una mite notte primaverile veneta. Grazie di cuore
di Fabio "Stanley" Cusano
Gene Simmons: Basso, voce
Paul Stanley: Voce, chitarra
Tommy Thayer: Chitarra solista,voce
Eric Singer: Batteria, voce
Data: 13/05/2008
Luogo: Verona - Arena
Genere: Hard/Glam Rock
Setlist:
01. Deuce
02. Strutter
03. Got To Choose
04. Hotter Than Hell
05. Nothin' To Lose
06. C'mon & Love Me
07. Parasite
08. She + Tommy Thayer solo
09. Watchin' You
10. 100.000 Years + Eric Singer solo
11. Cold Gin
12. Let Me Go, Rock & Roll
13. Black Diamond
14. Rock and Roll All Nite
Encore
15. Shout It Out Loud
16. Lick It Up / Won't Get Fooled Again
17. Gene solo + I Love It Loud
18. I Was Made For Lovin' You
19. Love Gun
20. Detroit Rock City