A tre anni di distanza da Start The Machine tornano i Fu Manchu, gli animali del deserto, tra le migliori espressioni di stoner rock americano in assoluto. Trovato ormai un ensemble stabile, la band fa un passo indietro e ci riporta alle sonorità primitive che ne hanno caratterizzato la carriera grazie a We Must Obey (che nella sua versione europea presenterà una bonus track, “Never Again”) , loro undicesimo disco in studio. Se nel frattempo altri esponenti di spicco dello stoner come Queens Of The Stone Age e Monster Magnet non hanno esaltato critica e pubblico con i loro recenti lavori in studio, Scott Hill e soci in poco più di 36 minuti di furore sonoro, sempre sospesi tra hard rock, psichedelica e rock moderno, ci regalano 11 tracce adrenaliniche, dove le spigolose chitarre sfornano riffs granitici, sostenuti da una ritmica martellante ed incessante. Probabilmente questo nuovo full lenght non consentirà loro di accaparrarsi nuovi fan oppure la dovuta attenzione, sopratutto in Italia, nazione nella quale lo stoner rock può ancora essere considerato un genere di nicchia, ma i fan di vecchia data esulteranno. “We Must Obey”, traccia che apre il disco si presenta subito alla grande, potente e carica al punto giusto, sorretta dal muro sonoro garantito dal duo Hill\ Balch, che rimandano subito a quel In Search Of a tutt’oggi ritenuto il masterpiece della band Californiana. Qui non esistono cali di tensione, concessioni radiofoniche o melodie “catchy”, siamo di fronte a sanissimo rock’n’roll stradaiolo, di quelli che una volta inserito il disco nel lettore, vi invogliano a premere un immaginario acceleratore che ci porta a raggiungere la massima potenza musicale. Sono molte le song da segnalare, anche i pezzi meno riusciti si mantengono sempre sulla sufficienza piena. Tra le migliori, oltre alla già citata title-track vi sono anche “Let Me Out”, con inserti blues e con un’assolo da brividi, la batteria frenetica e schizzata (del sempre ottimo Scott Reeder) di “Didn’t Really Try”, dove nel finale esplode tutta la psichedelia della band e la conclusiva “Sensei vs. Sensei”, forte di un chorus irresistibile e acida al punto giusto, probabilmente uno dei cavalli di battaglia dei prossimi live dalla band. Nulla di particolarmente nuovo sotto il sole, qui mi ritrovo semplicemente e recensire un album pieno zeppo d’energia, di una band che può risultare eccessivamente statica nella proposta ad un ascolto poco impegnato e superficiale, ma che in realtà continua a sfornare lavori ben confezionati e prodotti nella giusta maniera, senza fronzoli, qui si alza solo il volume dell’amplificatore per perforare i timpani dell’ascoltatore. Un pugno (l’ennesimo) nello stomaco. |
Scott Hill: Voce, chitarra Anno: 2007 |