"Shadows and Light", ovverosia la summa artistica di una delle fasi più rappresentative vissute da Joni Mitchell.
Con questo album, l'artista proseguiva la sua incursione nel jazz già avviata nei suoi lavori in studio "Hejira", "Don Juan's Reckless Daughter" e "Mingus", pubblicati tra il 1977 e il 1979. Se il bassista Jaco Pastorius dei Weather Report fu determinante per livellare e plasmare il nuovo percorso sonoro ideato dalla cantante canadese in quei tre lavori, il merito della perfezione stilistica raggiunta in questo live va equamente suddiviso tra i musicisti che vi presero parte, tutte stelle del jazz in via di rapida e definitiva affermazione. Dopo aver confermato il percussionista Don Alias, già presente in "Mingus", e non potendo precettare Wayne Shorter e Herbie Hancock, anche loro in quell'album ma indisponibili a supportare la donna on stage, la scelta di affidarsi a Pastorius per assemblare una formazione di qualità si rilevò estremamente vincente. Il bassista consigliò Pat Metheny e Michael Brecker (aveva suonato con entrambi rispettivamente in "Jaco" del 1974, assieme a Bruce Ditmas e Paul Bley, e nell'eponimo di due anni dopo, nel quale comparivano circa una quarantina di esecutori provenienti dal jazz e dalla classica). Quando il chitarrista del Missouri chiuse il cerchio proponendo il tastierista della sua band, Lyle Mays, la cantautrice gli diede saggiamente ascolto, testimoniando, così facendo, l'ascendenza che il giovane già esercitava ad inizio carriera (come peraltro dimostra la citazione di "Phase Dance" contenuta "In France They Kiss on Main Street" e il pezzo "Pat's Solo", parentesi solistica che gli fu affidata sul palco, poi puntualmente apparsa sul disco). Quello che scaturisce da questi incontri è una perla di raro spessore espressivo ove, forse per la prima volta, il jazz e il folk si fondono alla perfezione creando un unicum espressivo che nulla toglie all'uno o all'altro genere musicale, arricchendo invece entrambi in egual misura. La stratificata rarefazione di Metheny e l'eterea attitudine di Mays esaltavano magnificamente il lato intimista della cantante (si ascoltino, in tal senso, "Hejira", "Edith And The Kingpin" e "Furry Sings The Blues"), alla quale fu lasciata l'opportunità di sviluppare il suo lato più energico e concreto grazie alle energie piuttosto funamboliche di Brecker, Pastorius e Alias (come documentato in "The Dry Cleaner From Des Moines", "Black Crow" o "Free Man in Paris", ove il virtuosismo dei tre raggiunge l'apice). La multiespressività dell'ensemble vocale dei Persuasions, infine, contribuì a fornire un senso di completezza toccando anche la sfera gospel in "Why Do Fools Fall In Love" e nel brano che forniva il titolo all'intero lavoro. Si griderebbe oggi alla perfezione se non fosse per l'assolo percussivo di Don Alias e il successivo "Dreamland", episodi validi ma macchinosi, a tratti tribali, francamente poco in linea con lo spirito dell'album tutto, e per la dissolvenza in uscita di "Woodstock", che purtroppo sottrae prematuramente momenti di magia che si vorrebbe non finissero mai. Il potere seducente e magnetico di questo masterpiece - che sembra ora del tutto naturale ma che all'epoca era a dir poco impensabile concepire - appare oggi difficilmente eguagliato pur a distanza di 40 dalla sua uscita. La versione in LP e quella in VHS, entrambe contemporanee, erano di fatto complementari: la prima non comprendeva due episodi apparsi nella seconda (il brano "Raised on Robbery" e l'intervento di basso in cui Pastorius citava sia la colonna sonora "The High and the Mighty" sia "Third Stone From the Sun" di Jimi Hendrix), mentre dal filmato furono omessi l'assolo di Don Alias e i brani "Dreamland", "God Must Be A Boogie Man" e "Woodstock"). Si auspica vivamente che la tracklist definitiva, attinta da entrambi i supporti, faccia in futuro parte di una expanded edition, al momento, purtroppo, non ancora in programma. |
Joni Mitchell: voce, chitarra Anno: 1980 |