Tre anni fa disse che aveva nel cassetto musica da riempire cinque album.
Detto fatto: lo scorso anno Pat Metheny ha pubblicato “From This Place”, album tra i più rappresentativi della sua lunga carriera (www.artistsandbands.org/ver2/recensioni/recensioni-album/9597-pat-metheny-from-this-place), seguito a distanza di dodici mesi da “Road To The Sun”, disco totalmente dedicato alla chitarra acustica e che ha suscitato qualche perplessità, non tanto per la valenza artistica delle composizioni in sè, quanto per il fatto che in realtà Pat ha lasciato le sue composizioni al talentuoso Jason Vieaux e al Los Angeles Guitar Quartet, partecipando in qualità di compositore al disco e non di esecutore, eccezion fatta per due brani (www.artistsandbands.org/ver2/recensioni/recensioni-album/9822-pat-metheny-road-to-the-sun). “Side Eye NYC V1.IV” fa parte del progetto dal vivo che Pat aveva già iniziato a portare in tour nel 2019 e che avrebbe dovuto proseguire per tutto il 2020, se non ché la pandemia ha bloccato tutti i concerti, rimandati a nuova data (attualmente il tour italiano è previsto nella primavera del prossimo anno). L’intento di Metheny è stato quello di scoprire nuovi talenti tra la nuova generazione di giovani stabiliti a NYC. Fra questi spicca il tastierista James Francies, virtuoso musicista che Pat ha definito “indefinibile”, tanta la freschezza e la bravura che ha saputo mostrare dal vivo con il noto chitarrista (e che noi siamo corsi ad intervistare) e una serie di valenti batteristi, tra cui Marcus Gilmore, con cui è stato registrato questo disco dal vivo. Atipica formazione a tre senza bassista (ma in campo jazz e non solo siamo stati abituati anche in passato a queste scelte) per questo disco live registrato divinamente, tanto da poter essere confuso con un album prodotto in studio, se non fosse per gli applausi presenti al termine di ogni brano. Tre le tracce inedite, di cui quella che apre il disco, “It Starts When We Disappear” (a detta di molti fan la più emozionante dell’album), appare come un brano a stretto contatto con il PMG e che, paradossalmente, non avrebbe sfigurato assieme ad “Eberhard” del già compiamto Lyle Mays (www.artistsandbands.org/ver2/recensioni/recensioni-album/9870-lyle-mays-eberhard) in quella che a noi pare un’ideale prosecuzione lasciata ad intendere con “The Way Up”. Lo sviluppo del brano prende difatti forma da quelle sequenze che tanto avevano caratterizzato l’ultimo album del PMG e che strizzavano l’orecchio a compositori contemporanei, Steve Reich in testa. L’Orchestrion poi ha fatto il resto; sta di fatto che in questa registrazione in particolare, ma nell’insieme in tutto il disco, il suono risulti incredibilmente “pieno”, come se sul palco vi siano non tre, ma cinque o sei elementi. L’unico accenno al vecchio gruppo del disco è “Better Days Ahead”, in un arangiamento più forzatamente jazz e meno latino rispetto all’originale. Un bel tocco di classe ad opera di James Francies, che si rivela paradossalmente molto più vicino allo stile Lyle Mays di quanto invece fosse Gwilym Simcock; un tastierista molto versatile (ascoltatevi i suoi due lavori solisti e le sue numerose collaborazioni tra cui quella con il sassofonista Chris Potter – già con Metheny – e il vibrafonista Stefon Harris, tanto per citarne due), soprattutto all’Hammond, ma anche al piano e ai synth, che a poco più di 20 anni ha dimostrato tecnica e feeling straordinari, un vero dono della natura. L’impronta jazz classica in effetti salta fuori con il terzo brano, quel “Timeline” a firma Metheny, incluso nel terzo album di Michael Brecker “Time Is Of The Essence”. James Francies e Marcus Gilmore non fanno rimpiangere rispettivamente Larry Goldings, né Elvin Jones, allora protagonisti assieme a Pat e al compianto Michael di questo intenso brano. Due gli episodi tratti da “Bright Size Life”: il brano omonimo e il delicato “Sirabhorn”, dedicato a una delle prime allieve di Pat, quando appena 19enne, prese posto in cattedra alla Berkley. Ora torna prepotentemente il dubbio se la scelta di affidare la parte di Jaco Pastorius a un synth sia opportuna o meno. I puristi jazz inorridiranno, ma se dovessimo ascoltare il brano senza sapere chi in effetti suona il basso, potremmo affermare che non ci saremmo accorti che fosse uno strumento elettronico e non elettrico. Di ampio respiro squisitamente classico con molti interventi pianistici (e che improvvisazioni!) è l’omaggio a Ornette Coleman, “Turnaround”. Dei tre brani inediti “Lodger” è il meno convincente: una ballata che ricorda melodicamente a tratti “Travels”, ma con meno mordente e che oltretutto fatica a decollare. Molto più persuasivo il finale “Zenith Blue”, legato (guitar synth in bella evidenza), questo sì, al primo PMG. Se James Francies si rivela una sorpresa fresca ed eccitante, non da meno si fa notare Marcus Gilmore, giovane antagonista dell’ormai omni presente Antonio Sanchez e che non lesina di certo interventi ritmici a dir poco singolari. Non vediamo l’ora quindi di ascoltare dal vivo questa formazione imebriante; ma al di là dell’incredibile pathos trasmesso da questo trio, a noi resta quantomeno la perplessità sull’aver rinunciato ad almeno uno/due membri che avrebbero potuto apportare qualche tocco in più al contesto e ricreare più verosimilmente una band armonicamente e dinamicamente più completa. Sbagliamo? |
Pat Metheny: Guitars, Guitar Bass, Orchestronic Anno: 2021 01. It Starts When We Disappear 02. Better Days Ahead 03. Timeline 04. Bright Size Life 05. Lodger 06. Sirabhorn 07. Turnaround 08. Zenith Blue |