Nell'alveo della rassegna "Venere in Musica", che ospita cinque band di differente estrazione musicale nella suggestiva cornice del più antico tempio religioso della Roma Antica, tra il Colosseo e i Fori Imperiali, i Morcheeba si ritagliano uno spazio assai rilevante.
In tour per promuovere “Blackest Blue”, loro decimo album pubblicato tramite la loro etichetta indipendente Fly Agaric Records in partnership con Kartel Music Group (distribuzione Audioglobe), il duo inglese corona oggi il desiderio di intepretare dal vivo molti brani concepiti durante la pandemia, tra i quali i singoli “Sounds Of Blue”, “Oh Oh Yeah”, “The Moon” e “Killed Our Love”: nel 2020, infatti, anche loro hanno dovuto congealre l'attività dal vivo, cosa che ha permesso di dedicare energie e tempo alla scrittura di «canzoni, perfezionandole in ogni dettaglio», come affermato ai media il chitarrista Ross Godfrey. «È stato un periodo in cui, nella musica, si è stati alleggeriti da ogni tipo di pressione. Avevamo tempo, e l’abbiamo sfruttato al meglio per decidere con cura le canzoni del nuovo disco», gli fa eco la cantante Skye Edwards. Questa evidente serenità interiore è stata resa oltremodo palpabile la sera del 20 giugno, nel corso di un concerto che ha stupito non poco gli astanti per la varietà di suoni e atmosfere profusa nella dimensione live. Dal vivo, la musica dei Morcheeba non viaggia soltanto in bilico tra pop e trip hop, ma assorbe spesso la liquidità sognante dei Pink Floyd più magnetici, grazie anche ad una chitarra dal chiaro retaggio gilmouriano, garantendo, peraltro, quantomeno nei momenti più trasversali, garbate incursioni nell'acidità tipica degli Ozric Tentacles più onirici. In aggiunta, il reggae veste un ruolo importante nella loro musica, giacchè è incursionato in almeno tre pezzi, uno dei quali si sostanzia quale interessante rivisitazione dell'evergreen "I shot the sheriff" di Bob Marley. Il tutto è sublimato dalla voce calda e suadente di una Skye Edwards che pare del tutto immune a logiche anagrafiche. Infine, una versione assai ritmata di "Let me see", garantisce pregevolissimi assaggi di un funky sanguigno, sublimato da un assolo di tastiere di chiara derivazione fusion. Poco prima del bis, l'ormai classicone "Rome Wasn't Built in a Day" - riprodotto ad una velocità più sostenuta (allo scopo evidente di sublimare per la seconda volta il citato genere funky) - permette alla cantante di invitare il pubblico sul palco, vincendo peraltro le energiche resistenze degli addetti alla sicurezza, coinvolti dall'artista medesima in un ballo che, stampando finalmente il sorriso sui loro volti, permette il definitivo allentamento di ogni tensione, dando vita ad una danza di gruppo che ha il sapore liberatorio della catarsi collettiva. «Abbiamo suonato in posti incredibili», dice Skye Edwards in un momento di respiro, «ma mai come questo», indicando lo scenario suggestivo determinato dalla imponenza del Colosseo e dalla delicatezza di una luna incredibilmente tersa e circolare. PS: il concerto è stato anticipato da un graditissimo documentario proiettato sulla mezza cupola del Tempio di Venere, che ha tratteggiato con puntuale precisione la storia del monumento, dalla sua creazione ad oggi, anche descrivendo i numerosi saccheggi operati dalle autorità nel corso dei secoli passati, quando era purtroppo assente una cultura archelogica rispettosa delle civiltà antiche. |
Skye Edwards (voce) |