Cataldo Perri, medico calabrese, si presenta in questo 2011 con il suo terzo disco; dopo Rotte Saracene del ’92 e Bastimenti del 2005, eccoci di fronte a Guellarè, undici tracce di puro cantautorato mediterraneo.
Ad accompagnare Perri una folta schiera di musicisti e seconde voci; lo Squintetto detta legge con la sua strumentazione generosa e partiture capaci di accompagnare i versi ma anche di assurgere al ruolo di protagoniste nelle lunghe ed intensissime code strumentali. Uno degli punti forti dell’opera sono ovviamente i testi, impegnati a trattare diversi temi cari alla cultura meridionale: la piaga della criminalità organizzata, lo sbarco degli immigrati, i rapporti familiari, il mare, l’infanzia. Non mancano rifermenti puntuali a fatti ben precisi: “Controvento” parla della protesta dei pescatori che gettavano pesce in mare per non venderlo al racket, “Malanotta” rievoca la tragedia del 31 Dicembre 1974, quando morirono dodici pescatori nel mare Ionio. Strepitosi i primi due brani: “Il mio Sud” è uno sguardo problematico e sofferente a tutte le contraddizioni della terra del Sud, tanto amata e ricca di tradizione, ma anche sfregiata dalle violenza della malavita, eppure ancora con la speranza in un futuro migliore. Il tutto in una trama musicale ricchissima, un vespaio turbinante di suoni orientaleggianti. La successiva “Carrette di mare” mantiene altissimo il livello: storie di immigrazione raccontate con una lucidità dolorosa, ricca di metafore dure. Il comparto musicale non è da meno, con uno straordinario crescendo ritmico intrecciato ai vocalizzi arabeggianti di Ouadia Farhat e alle parole del Padre Nostro. I versi finali possono essere letti come una protesta verso Dio stesso, che dovrebbe dare a tutti la felicità, senza distinzioni. Altri momenti topici sono “Tarabella”, una tarantella che si mescola ai toni morbidi del sax e fluisce poi in un finale al fulmicotone davvero sbalorditivo. “Nel vento d’Africa” è il momento di maggior commistione culturale – sonora, con vocalizzi in arabo e musicalità orientali. La penna di Cataldo si rivela graffiante, ma non manca qualche passaggio a vuoto: non si sentiva il bisogno di una canzone ridicola su Facebook, “Facie Puke”, anche perché non ha niente da condividere con le tonalità severe del disco. Anche “Guellarè”, ode al mare nostrum, è piuttosto modesta e prevedibile. A livello di melodie siamo ben lontani dall’eccellenza; spesse volte i versi fanno fatica a trovare una conformazione metrica ben precisa ed elevarsi quindi in lineamenti melodici, se non originali quantomeno ben definiti, che infatti sono quasi solo accennati, come discorsi con qualche sillaba allungata a mo’ di canto. I testi sono molte volte parlati appunto per questo motivo: ciò non è sempre un problema, come dimostra “Il Tempo e il Pudore”, con un provvido contrappunto di sax a dare musicalità alle parole. Rosa Martirano viene in aiuto al cantautore e arricchisce diversi brani, altrimenti troppo statici, con i suoi vocalizzi da brividi, raggiungendo apici straordinari in “Malanottata”, uno dei pochi brani melodicamente davvero accattivanti (se non per qualità, almeno per intensità ed espressività), insieme a “L’anima du Munnu”. Le altre sono tutte pressoché dozzinali. Poco male, la poesia non dev’essere necessariamente cantata. Altra nota di merito è dovuta alla scelta di utilizzare in alcuni episodi il dialetto, sulla scia del maestro Faber, a cui è dedicato il finale “Battente per Faber”, strumentale perché Perri non ha sentito nessun verso adeguato “per il magnifico alchimista della musica e delle parole”. Guellarè è un disco buono, d’un cantautorato verace, mediterraneo nel senso più ampio del termine, sia a livello musicale, con musiche calabresi e profumi d’Africa ed Oriente, sia nelle riflessioni testuali, spesso focalizzate sull’incontro tra i diversi popoli del Mare Nostrum e le problematiche legate alle migrazioni. Le tracce dell’album rappresentano bene questo meltin’ pot, con la tradizione calabrese pronta ad accostarsi a timbri arabeggianti, metafora delle spiagge del Sud Italia che “accolgono” i popoli africani in cerca d’un futuro migliore. E qui si evince il nocciolo concettuale dell’album: creare in musica ciò che nella realtà dei fatti appare irrealizzabile e cioè la commistione pacifica delle culture del mondo. “Vogghiu mmiscari a lingua ccu chidda i Tuttu u munnu senza confini i terre Senza guerre ne doluri” Un’opera culturale all’avanguardia insomma, musica popolare e tradizione rielaborate in chiave moderna e intrise di contaminazioni etniche, il tutto a supporto di un cantautorato ancora non pienamente maturo ma comunque molto significativo, con punte d’una pregnanza rara. 70/100
|
Cataldo Perri: Voce, chitarra battente, buzuki, charango Anno: 2011 Sul web: |