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Mastodon
The Hunter

Finita la quadrilogia degli elementi, finito il decennio, finite le idee, i Mastodon si sono trovati per la prima volta in una situazione di impasse. L’evoluzione musicale Remission/Leviathan/Blood Mountain/Crack The Skye è stata portata a termine con successo, che fare? I quattro ragazzotti di Atlanta avrebbero potuto chiudersi in un eremo a meditare, separarsi temporaneamente in attesa di nuova ispirazione, fare un disco fotocopia del precedente, ritornare alle origini … e tutte le solite storie ormai standardizzate della musica Rock. Hanno invece percorso una strada diversa: semplicemente, han deciso di continuare a suonare, suonare senza sosta, riversare tutti loro stessi nella musica e creare, non smettere mai di creare. Come una treno senza freni, il titano della musica Mastodon ha proseguito la sua corsa impetuosa; questa volta senza riflettere, senza pianificare il nuovo album, senza dover per forza aggrapparsi ad un concept per dare senso ad una manciata di canzoni.

Ciò che ne è venuto fuori è un disco istintivo, spontaneo al cento per cento, che suona come un brain storming: ciò che frullava lì per lì nella testa dei quattro bestioni è stato registrato, come un terremoto su un sismografo. Non si può quindi dare un inquadramento preciso a The Hunter nella discografia della band: è un’opera retrospettiva, un rimescolamento di tutte le carte fin’ora giocate: si potrebbe dire che coi primi quattro dischi sono stati posti i pilastri portanti della cattedrale - Mastodon, un po’ le quattro virtù cardinali del pensiero musicale di Sanders e compari. Con questo nuovo lavoro si gioca invece al piccolo chimico, ci si diverte a rimescolare gli elementi a disposizione. Ricompaiono allora le scorribande hardcore della prima ora, i ritmi pirotecnici del Dailor più infervorato, i riff al testosterone che in Crack The Skye avevano lasciato spazio a più raffinate cesellature psichedeliche, qui ancora presenti ma più sporadiche.

Non si è perso il vizio della melodia, definitivamente abbracciato nel 2009; se c’è una miglioria tecnica da riconoscere è sicuramente nei timbri vocali di Hinds e Sanders (che nella title track raggiunge vertici espressivi inusitati), ed in generale nel cantato, mai così vario e ben calibrato. È bene mettere però una cosa in chiaro fin da subito: l’evoluzione vera e propria dei Mastodon ha toccato il suo culmine con Blood Mountain. In quel disco le strutture dei brani raggiungevano il livello di complessità (e genialità) massimo, tutte le qualità (fino a quel momento conosciute) della band erano espresse al meglio. La scelta stilistica di Crack The Skye fu azzeccata perché spostava il focus su qualcosa di diverso, laddove era impossibile fare di meglio nell’ambito precedentemente praticato. Così si spiegano il rallentamento ritmico, il cambio d’atmosfere e tutto il resto.

The Hunter compie invece la scelta opposta e cade in errore: contiene un po’ tutto il repertorio stilistico fin’ora sperimentato da Hinds e soci, ma non riesce mai a spostare l’asticella più in alto, non riesce mai a portare un innalzamento qualitativo rispetto a quanto già detto. I suoni non hanno la violenza spietata di Remission, manca la perfezione formale di Leviathan, le strutture ritmiche e melodiche, seppur apprezzabili, non si avvicinano ai deliri pirotecnici di Blood Mountain, le atmosfere e le geometrie non hanno niente a che vedere con il rigore di Crack The Skye. Tutte le qualità si attestano su buoni livelli senza mai eccellere. Il disco suona come un frullato dalle molte variabili ma omogeneo nel risultato finale: sicuramente l’episodio più pop è il singolo “Curl Of The Burl” (e non ci voleva un genio a capirlo) che si arrischia in strutture fin troppo esili e francamente banali. “Black Tongue” è un perfetto brano d’apertura: oscuro, imbrattato di sangue e vergato da grida nevrotiche. “Spectrelight” rinverdisce i fasti di “Aqua Dementia”, con Scott Kelly che ci dà dentro come al solito e nobilita ulteriormente una scheggia di adrenalina pura. Momenti vicini al passato più recente si trovano in “The Hunter”, ballatona in stile Metallica del ’91 (spero non sia un segno premonitore), nell’affascinante “Thickening”, che innesta in un paesaggio evanescente le magistrali strutture ritmiche di Braan Dailor, e nella subliminale “The Sparrow”, che chiude il disco alla perfezione con il suoi delicatissimi colori pastello.

Il resto dei brani si rifà al succitato connubio di stili: la ferocia ritmica si sposa con melodie calibrate, chitarre rugginose si contrappongono a fini cesellature acustiche, voce pulita a growl. Tra questi, vanno segnalati “Blasteroid”, una furia inarrestabile che sa anche essere orecchiabile, e “Stargasm” che abbina brutalità pachidermica e momenti dilatati, maglie ritmiche d’acciaio a ghirigori di cristallo. “Octopus Has No Friends” e “All The Heavy Lifting” ribadiscono la formula, sigillando le tempeste sonore con ritornelli killer.

Tuttavia, come già detto, alla fine il gusto che rimane è un po’ meno sapido di quello assaggiato in passato, le canzoni un po’ meno monumentali, i ritmi un po’ meno forsennati, le chitarre un po’ meno galvanizzanti e via dicendo. È lo scotto da pagare per un album che vuole essere un po’ tutto e alla fine dei conti non riesce ad essere niente di ben delineato. La band non sa scegliere che strada intraprendere e quindi se le tiene buone tutte. La qualità rimane elevata, ma l’opera nel suo complesso non regge il confronto con gli eccellenti predecessori, è un vaso di coccio tra vasi di ferro. Certo, se questo è il disco debole della loro discografia, immaginatevi quelli forti. Anzi, questa prova, ad ogni modo godibilissima e valida, è assai utile per dare la giusta dimensione agli altri album, in cui la tecnica sopraffina era sostenuta da intuizioni creative geniali, la felicità compositiva si esprimeva in strutture ben congeniate e mai ridondanti e le singole canzoni si accorpavano nell’organismo-album completandosi a vicenda. Non è facile ripetersi a certi livelli. The Hunter è solido e di valore, ma ha tre colpe: è arrivato dopo dischi come Leviathan e Blood Mountain; ha tanti, troppi, tasselli diversi e alla fine il mosaico non è ben chiaro; paga un leggero calo di incisività da parte di una band che rimane comunque tra le formazioni capitali del metal contemporaneo.

68/100


Troy Sanders: Voce e basso
Brent Hinds: Chitarre e voci
Bill Kelliher: Chitarre e voci
Brann Dailor: Batteria e voci

Anno: 2011
Label: Reprise Records
Genere: Prog/Sludge Metal

Tracklist:
01. Black Tongue
02. Curl Of The Burl
03. Blasteroid
04. Stargasm
05. Octopus Has No Friends
06. All The Heavy Lifting
07. The Hunter
08. Dry Bone Valley
09. Thickening
10. Creature Lives
11. Spectrelight (feat. Scott Kelly)
12. Bedazzled Fingernails
13. The Sparrow

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