Mi è piaciuta in particolare la capacità della band di creare composizioni che mantengono tutta la splendida sensazione di spontaneità che ispirerebbe una jam session caotica. O meglio, le geometrie dei brani sono ben tracciate, misurate con cura, ma seguono percorsi evolutivi fortemente tortuosi, si arrovellano in spirali ritmiche furibonde, come in attacchi epilettici, per poi tornare magari a seguire il tema iniziale.
“Vega” è uno strepitoso condensato di tutto questo: i riff accattivanti e veloci sono solo l’aspetto superficiale di una costruzione musicale molto articolata, piena di cambi di tempo, linee vocali sempre diverse ed imprevedibili. Una sorta di improvvisazione programmata, la sensazione che il brano si snodi in un percorso che non ripiega (quasi) mai su se stesso. Eccezionale. Convince anche “Rasa”, seppur con una struttura più semplice: le grida demoniache ben si sposano con i suoni rugginosi ed i ritmi insistenti, d’un’istintività primitiva. La carica poderosa dei tre si mostra nelle scorribande stoner della parte centrale. Il finale rallenta come in una stasi catacombale, tra fumi neri che ricordano un po’ l’incedere minaccioso dei Sabbath.
“Mast” riprende il modello di “Vega” con anche maggior veemenza: veloci assalti nevrotici e riflussi saltellanti si alternano sulla scena, dando vita ad un saliscendi rapidissimo. Brano asciutto e perfettamente a fuoco, condensa in 2 minuti e mezzo tante buone idee. I Buena Madera sanno costruire bene le loro canzoni, scrivono ottimi riff, ma soprattutto sono in grado di articolare con gran precisione le varie parti del suono, creano incastri intelligenti di chitarra, basso e batteria; i tre strumenti si compongono con grande organicità, non si calpestano mai i piedi a vicenda.
Quest’arguzia compositiva non sembra tuttavia essere frutto di una lunga fase di studio, quanto piuttosto di un’attitudine naturale: le canzoni hanno l’urgenza e la carica di una jam in cui ognuno tira fuori dal cilindro il motivetto che gli ronzava in testa quella mattina, senza troppe sovrastrutture posticce, tenendo buona la forma primitiva della musica. Come per magia però, queste creature sonore dell’istinto si sono amalgamate in composizioni armoniche, mai disordinate. Prova del nove è la strumentale “Cata”, goduriosissimo tourbillon di pura energia rock, semplice ed immediato nelle sue parti quanto ben composto e strutturato nel complesso. La vitalità debordante della musica rock espressa nella sua forma più cristallina (la performance live), eppure incanalata in organizzazioni di suono tutt’altro che banali o stupide. Un equilibrio davvero difficile da raggiungere.
Insomma, questi ragazzi hanno tra i 20 ed i 24 anni, sanno il fatto loro, suonano cose ottime: possibile che un discografico qualsiasi non li abbia ancora notati?
70/100
Nome Cognome: Strumento
Renato Rancan: Chitarra e voce
Andrea Visaggio: Basso e voce
Marco Lionzo: Batteria
Anno: 2011
Label: Autoprodotto
Genere: Heavy Metal
Tracklist:
01. Rasa
02. Vega
03. Mast
04. Cata