Parlar male di un disco, stroncarlo, dichiarare apertamente di non aver gradito non è una cosa, lo confesso, che mi piaccia molto, sia per lo scontato motivo che a monte di una qualsiasi uscita discografica c'è lavoro, c'è voglia, c'è aspettativa e convinzione di aver fatto bene, specialmente quando si tratta di band giovani alle prime esperienze discografiche e sia perchè da amante della musica, sotto tutti i suoi molteplici aspetti, cerco sempre di trovare uno spunto positivo, un motivo di elogio e di riconoscimento.
Ma talvolta nonostante tutti gli umani e possibili sforzi è veramente e realmente impossibile riuscire a trovare anche solo un motivo per non essere realistici ed oggettivi, ecco questo "Adjo Silo" dei norvegesi Formloff è uno di quei casi, uno di quei dischi che con tutta la più buona volontà del mondo non si riesce a sentire per due volte di seguito. Nella loro bio si legge che Adjo Silo "è stato fatto con l'intenzione di scavare in profondità nell'aspetto sperimentale della musica, ponendo il Metal come fondamenta del proprio suono", una dichiarazione abbastanza pretenziosa che in realtà si traduce in un informe ed inconsistente polpettone sonoro dove ci si riesce a far entrare di tutto, piluccando allegramente, qua e là, quasi senza alcun criterio, attraverso le più varie contaminazioni musicali, della serie "non ci facciamo mancare nulla". Quindi trovano comodamente posto sonorità Black Metal affiancate da passaggi elettro-pop, cori e parti vocali che tendono a dare teatralità alla scena e semplici e banalissimi riffetti Metal, momenti più Progressive e campionamenti di ogni genere, il tutto buttato li il più delle volte senza un apparente sequenzialità logica o costruzione musicale intenzionale. In definitiva per fare sperimentazione musicale non basta andare giù di growl con a fianco le voci campionate alla Tiziano Ferro e clean allegri e spensierati, non basta condire ogni song con passaggetti corali a volte un tantino isterici a voler inserire forzosamente un senso di teatralità, non bastano innesti di organetto Bontempi, tutto questo non basta sopratutto se poi l'esecuzione avviene sempre in maniera puerile, approssimativa ed il più delle volte completamente fuori contesto, in questo caso non fai sperimentazione, non fai Avantgarde, ahimè alla fine fai ridere, quindi forse può rivelarsi necessario spiegare ai peraltro giovanissimi Bernt Karsten Sannerud e Marius Sjøli che Arcturus, Ulver ecc ... sono un altra cosa, di sicuro loro connazionali ma stop le analogie terminano li. Aggiungiamo poi una produzione relativamente scadente ed un artwork della serie "facciamoci del male" tanto è brutto e più che il polpettone è la frittata ad essere condita. Mi spiace per i ragazzi norvegesi ma veramente non è cosa, questo disco è, sfortunatamente per loro, proprio brutto. 40/100
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Bernt Karsten Sannerud: Clean and Huesprett tm V. 2.6 beta vocals, piano and organs, synthesizer and computer Anno: 2006 |