Il nuovo disco di Copernicus, al secolo Joseph Smalkowski, è in realtà una raccolta di versi prima ancora che musicale, l’artista si professa infatti un poeta più che un musicista.
Il precedente Disappearance del 2009, assieme a questo disco, sono il risultato di due fasi di registrazione risalenti al novembre del 2008, con un ensemble di musicisti che costituiscono l’accompagnamento per le liriche di Smalkowski, il tutto diretto dal musicista e compositore Pierce Turner. Le liriche, costruite essenzialmente attorno a cluster sonori ricorrenti, come si può riscontrare in "I Don’t Believe It", sono pregne di teatralità, psichedelia oltreché di un pizzico di follia. La musica, interamente improvvisata, costituisce un accompagnamento e allo stesso tempo aiuta a coadiuvare la giusta tensione che la possente declamazione (sfiorante talvolta l’impeto dell’urlo) del poeta-musicista è intenta a rincorrere. Con cautela si può accostare il suo stile sia a quello di Captain Beefheart, ma sicuramente meno prorompente e discostato da qualsiasi forma di cantato, che a quella "fuori di testa" di Arthur Brown come nell’introduttiva "Into The Subatomic". Copernicus è ossessionato dalla negazione della concezione della realtà come percezione sensoriale incentrando le proprie motivazioni sull’aspetto fisico, sulla natura subatomica dell’universo. “subatomic” è la martellante parola chiave in questo disco ed in Disappearance. "Into The Subatomic" e "Free At Last!" si vestono di un’anima pressocchè prog, sottolineata dalla cupa linea melodica dell’organo di Turner. Abbiamo poi brani più psicheledici come "Where No One Can Win" e la folle "I Don't Believe", un lancinante pezzo free jazz che accompagna una sofferente declamazione di Copernicus: non si può credere alla realtà illusoria circostante, “..There is no life, there is no death..” oppure “..There are no tears in subatomic..” (Into The Subatomic). Cipher and Decipher è un disco che risulta difficoltoso all’ascolto, a causa della eccessiva ripetitività degli inserti vocali, piuttosto monocordi, anche se va detto che le parti musicali risultano a tratti interessanti e di qualità come nell’onirica "Where No One Can Win", nella più sbarazzina "Infinite Strength" e alla latineggiante "Mud Becomes Mind" in cui la voce di Copernicus prsente a sprazzi, risulta un elemento estraneo e disturbante il moto musicale. Di maggior interesse risulta invece il brano finale "The Cauldron", avente un corso fortemente sincopato e free ma che nella parte finale propende verso un’apertura di carattere sicuramente più funky. In definitiva non c’è un gran passo avanti rispetto al precedente disco, anche perché i due sono figli di una stessa idea. 60/100
|
Copernicus: Voce, versi, tastiere Anno: 2011 Sul web: |