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Time Keepers


Andrea: Batteria, loops ed effetti
Luca: Tastiere
Filippo: Chitarre
Demetrio: Basso, loops ed effetti

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- Recensione di "L'ultimo uomo sulla Terra"

- A&B -
Ciao ragazzi e Benvenuti su Artists&Bands.
Time Keepers, Progressive Rock dalla Toscana, più precisamente dalla provincia di Pistoia e allora chi sono i Time Keepers, come sono nati, la vostra storia musicale.

- Demetrio -
I Time Keepers nascono, come molte altre band, da un’amicizia. Luca ed Andrea, che si conoscono dai tempi delle scuole medie, iniziano a suonare insieme nell’inverno del 2004, accomunati dal desiderio di produrre qualcosa di originale e dalla passione per grandi gruppi musicali del passato come i Genesis. Io mi sono inserito solo un anno più tardi, nel Novembre del 2005, e anche col mio arrivo il lavoro della band è proseguito sui binari della sperimentazione e della ricerca musicale, con l’obiettivo di produrre musica originale e “valida”, non banale. Diciamo che, da quando ci siamo ritrovati in tre, il lavoro s’è fatto più intenso e più “serio” e dalle nostre sessions sono nati due demo cd (“Hyla Arborea” e “Covers”, contenente tutte le cover suonate dal gruppo); con la line- up di tre elementi abbiamo inoltre affrontato i nostri primi live, nell’estate 2006, togliendoci anche qualche soddisfazione (penso principalmente all’esibizione del “Serravalle Jazz”, in una cornice davvero suggestiva). Con la fine dell’estate, la “stagione dei live” per eccellenza per un gruppo emergente come il nostro, è arrivato anche Filippo, il nostro chitarrista: il suo ingresso nella band è stato un processo necessario, poiché la nostra musica aveva bisogno di arricchirsi nel proprio spettro sonoro con l’introduzione di uno strumento come la chitarra, e devo dire che tutto è avvenuto in modo molto semplice e naturale. Dopo aver registrato un piccolo demo intitolato “On The Edge Ep” per le selezioni di un concorso musicale universitario di Firenze, è stato abbastanza naturale inserire il nuovo arrivato nel progetto, già avviato, del concept album che ci ha infine condotti dove siamo adesso, e cioè a “L’Ultimo Uomo Sulla Terra” e a tutto ciò che si porta dietro.

- A&B -
Il vostro ultimo lavoro, "L'ultimo uomo sulla Terra" è un concept album, basato sulla trasposizione in musica del film di Werner Herzog: "Cuore di Vetro", com'è nata l'dea del concept e come mai basare la storia su di un film ed un autore "difficili" o per meglio dire non propriamente di facile fruizione.
- Demetrio -
L’idea del concept nasce nell’estate dello scorso anno. Dopo aver completato le registrazioni di “Hyla Arborea”, ci siamo trovati ad improvvisare un po’ in sala prove, ed abbiamo scovato un effetto della tastiera di Luca che era molto suggestivo, una sorta di “effetto voce” (è quello che si può sentire all’inizio di “Voci Dalla Terra”). Il risultato dell’utilizzo di tale effetto era immediatamente quello di creare una certa atmosfera vagamente apocalittica. Ci piacque, improvvisammo ancora e nacquero i primi due pezzi de “L’Ultimo Uomo…”, “Voci Dalla Terra” e “Maelstrom”: quest’ultimo brano nacque in maniera abbastanza singolare dal primo, diciamo in modo “dinamico” rispetto al pezzo precedente. Nella registrazione questa sensazione, complici i problemi di mixing, si perde un po’, ma la linea di basso di “Maelstrom” scaturisce direttamente da quella di “Voci Dalla Terra” tramite un impercettibile rallentamento ed un mellifluo cambio di ritmica di Andrea. Era la prima volta che componevamo in questo modo, avevamo già prodotto pezzi strutturati in “parti” (per esempio “Astral Dome”, contenuto in “Hyla Arborea”) ma mai due pezzi legati tanto strettamente: fu anche questo a spingerci verso l’idea del concept, cercare di sviluppare un discorso musicale autosufficiente e sfruttare pienamente le caratteristiche “atmosferiche”, e quindi vagamente ambient, dei primi due pezzi. Chiaramente, e qui vengo alla seconda parte della tua domanda, quando si cerca di comporre il concept, restano sempre i piccoli problemi relativi alla “storia”: di cosa parlare? Questo è un problema che c’ha tenuto occupati un bel po’, prima di trovare una soluzione. Inizialmente, l’idea della storia era diversa, o comunque ce n’erano molteplici: un racconto di viaggi fatto da un protagonista, una sorta di viandante che ha girato il mondo intero; un qualcosa di ispirato alla leggenda del “Diavolo Mietitore” (complice l’effetto della tastiera in “Voci dalla Terra”, chiamato “Voices From Hell”) ed altre ancora. Ma per un concept serve un’idea incisiva. Diciamo che l’idea di “Cuore Di Vetro” l’ho avuta io, ed ha un po’ salvato il progetto, che rischiava di proseguire senza un costrutto logico. Sono un grande appassionato di Nuovo Cinema Tedesco ed in particolare di Herzog, e quindi tendo a non ritenerlo di difficile fruizione, come autore cinematografico: il suo cinema è difficile perché richiede da parte dello spettatore una “fruizione totale”, che contempla una messa in gioco di se stessi (messa in gioco di sé che è intellettuale ma anche fisica, non a caso Herzog è noto per le “imprese impossibili” sostenute al fine di scovare le proprie immagini; esemplari sono a questo titolo film come “Fata Morgana”, “Aguirre” o “Fitzcarraldo”). Insomma, è un cinema diverso da quello hollywoodiano, nasce da esigenze opposte e richiede un impegno forse maggiore, ma riserva molte soddisfazioni, almeno a mio avviso. Il film in questione, “Cuore Di Vetro”, si sposava poi particolarmente bene per “clima” con la nostra musica o almeno con quanto stavamo componendo per questo concept; è stato quindi abbastanza naturale adattare il racconto musicale al racconto filmico. Chiaramente abbiamo cercato di farlo senza limitarci a musicare nuovamente il film (che peraltro ha già una splendida colonna sonora a firma dei Popol Vuh),ma prendendo spunto per cercare di restituire, con la nostra musica, l’atmosfera, le sensazioni, a volte anche la torrenziale potenza visiva delle immagini di Herzog. Immagini strane, sacrali, mai viste prima, ricche e preziose come se incise sul vetro e legate ad una storia senza tempo che parla della progressiva perdita dell’orientamento che schiaccia gli uomini, li rende schiavi, assoggettati alla paura, terrorizzati ed incapaci di vedere se stessi al di fuori delle idee forti e delle categorie totalizzanti, inetti a leggere i segni della catastrofe imminente (niente di più attuale, credo: guerre, emergenze umanitarie, emergenze ambientali, minaccia atomica e l’elenco potrebbe continuare). Mi faceva notare qualche giorno fa un caro amico che il vetro rosso è il simbolo di tutto questo, “è l'alkhest fasullo della società occidentale, l'eldorado spirituale che gonfia a dismisura le debolezze dell'uomo invece di curarne i mali, fino all'autodistruzione”. Il futuro che non arriva mai (futuro inteso come prospettiva di liberazione, ovvio).

- A&B -
"L'ultimo uomo sulla Terra" mi pare di capire che sia un progetto più ambizioso rispetto al "solo" album musicale, un progetto che intende coinvolgere anche altre forme d'arte come ad esempio il teatro, ce ne volete parlare ?
- Demetrio -
Beh, era abbastanza naturale, viste le premesse, cercare di rendere palese il senso del nostro lavoro; era importante, è importante che il messaggio arrivi al pubblico. Suono, immagine e parola: quindi la dimensione musicale, pur autosufficiente rispetto al film, dovrà essere accompagnata, nelle esibizioni live, da una componente visiva e da una, per così dire, “letteraria”. La componente visiva sarà costituita da filmati, da proiettare durante l’esecuzione delle varie parti del lavoro: le immagini ed i suoni dovrebbero, nella nostra idea, commentarsi e sostenersi a vicenda. Chiaramente, le immagini del filmato sono per lo più tratte dal film di Herzog, e scelte in modo da essere congruenti con la struttura musicale del concept: nella prima parte, “Il Pastore”, immagini legate alle visioni di Hias; nella seconda, “La Morte Del Mugnaio”, le immagini della follia che lentamente si impadronisce del paese; nella terza, “Incendio!”, le scene del sacrificio umano di Ludmilla, la serva del padrone della vetreria, omicidio perpetrato nella convinzione folle che fosse il sangue di una vergine a conferire al vetro il suo peculiare colore rubino, e le immagini raffiguranti l’incendio della vetreria e la fine del mondo; nella quarta ed ultima parte, “Viaggio Alla Fine Del Mondo”, le immagini degli “ultimi Uomini” che sfidano l’orizzonte spinti dalla sola sete di conoscenza. Ma chiaramente ciò non è sufficiente a restituire il senso pieno del lavoro: occorre una dimensione parlata, un “narrato”, qualcosa che aiuti a non perdere il filo del discorso. Qui entra in gioco la nostra narratrice, Cristina, l’unica attrice che conosciamo che ha cercato di mettersi in gioco con questo progetto: reciterà, ad introduzione di ciascuna delle quattro parti del concept, un breve monologo che chiarisca lo svolgersi della storia dandone contemporaneamente degli “appigli interpretativi”, anche se il tutto sarà più simile ad un “reading” che non ad una vera e propria rappresentazione teatrale. Per la scrittura della parti narrate fondamentale è stata la lettura di Büchner (autore di ispirazione anche per Herzog, ispirazione anche e soprattutto tematica) che costituisce l’altro grande referente del nostro lavoro, in particolare con lavori come “Woyzeck” e “Lenz”.

- A&B -
"L'ultimo uomo sulla Terra" è un lavoro interamente strumentale, fatti salvi alcuni momenti che citano alcuni dialoghi del film, come mai questa scelta ? come mai non inserire parti cantate ?
- Luca -
La scelta è stata anche obbligata in quanto, suonando senza cantante per lungo tempo, ci siamo abituati a scrivere canzoni che potessero fare a meno della voce, che fossero autosufficienti, dotate di una melodia e di tutto ciò che serve per non far avvertire questo “vuoto”.
- Demetrio -
Ecco, la scelta di inserire le parti dialogate del film all’interno del lavoro nasce anche da questo fatto, anche ma non solo. Mi spiego meglio. Se ci fosse stata una voce su ciascuno dei pezzi sarebbe stato decisamente più semplice seguire lo svolgersi di una storia come quella narrata, che non è nemmeno molto semplice e lineare, a dire il vero; ma non avendo noi un cantante diventava vitale fornire all’ascoltatore dei punti di riferimento all’interno di questi 75 minuti circa di musica, nei quali rischiava altrimenti di perdersi. Oltre a ciò c’è comunque il fatto che la storia è ispirata ad un film, e qualche traccia di questo deve pur trovarsi nel nostro lavoro: sommando le due cose, è stato naturale scegliere di usare questi “samples” dei dialoghi di “Cuore Di Vetro”. D’altra parte, ma questa è una mia idea, non riesco a “vedere” cantato un lavoro come “L’Ultimo Uomo…”, mi sembra che la dimensione musicale basti già a se stessa così com’è, e che la scelta di non abdicare alle difficoltà, di portare comunque avanti un lavoro interamente strumentale, anche se in parte obbligata, sia stata comunque giusta.


- A&B -
Il songwriting deve essere stato piuttosto laborioso, la struttura dei pezzi è abbastanza complessa ed articolata, come nasce quindi un pezzo dei Time Keepers ?
- Demetrio -
Il metodo di lavoro può sembrare un po’ caotico, magari, ma del tutto naturale. Ciascuno di noi porta all’attenzione del gruppo le proprie idee, che siano melodie, successioni di accordi, un passaggio ritmico, e poi tutti insieme ci lavoriamo su. Siamo molto maniacali nella composizione, iniziamo a suonare e risuonare i pezzi finché non assumono l’aspetto che ci piace, che cerchiamo.
- Luca -
Magari abbiamo, a volte, una struttura base, che poi cerchiamo di inserire in un certo contesto, com’è successo ad esempio con le tracce de “L’Ultimo Uomo…”. Da questo punto di vista è per noi fondamentale l’improvvisazione: iniziamo a suonare su un pezzo, o su un’idea di un pezzo, ed improvvisiamo lungamente, finché non escono altre idee. Diciamo che non ci piace porci limiti nella composizione, componiamo in totale libertà rispetto alle strutture, cercando di buttar giù idee non banali, non prevedibili, e di comporre la musica che ci piace, e ci soddisfa.
- Andrea -
Semmai poi è nel lavoro di cesello che si giunge a strutturare compiutamente, in un modo piuttosto che in un altro, un brano. Le canzoni contenute ne “L’Ultimo Uomo…” sono state tutte composte così, ed anche i nostri pezzi autografi precedenti. Cerchiamo di porre l’accento, l’attenzione sull’aspetto musicale dei brani. Quel che conta è la musica, il resto viene dopo.

- A&B -
Siete tutti molto giovani mi pare, cosa quindi vi ha fatto avvicinare ad una musica di sicuro non immediata e non pubblicizzata come il Progressive Rock, quali dei gruppi del presente e del passato vi hanno maggiormente influenzato ?
- Andrea -
Credo di parlare anche per Luca citando come “punto d’incontro” con questa tradizione musicale anche e soprattutto i dischi che abbiamo trovato in casa, dischi che i nostri genitori ascoltavano e che noi abbiamo imparato a conoscere ed apprezzare a nostra volta. Del genere progressive ciò che mi piace è che è musica a mio modo di vedere “completa”, che mette in risalto la melodia, l’armonia, il ritmo (figure fondamentali della musica tutta) ed anche le capacità tecniche di chi suona. Un gruppo come riferimento? Probabilmente i Porcupine Tree.
- Luca -
Concordo, e nonostante sia, purtroppo, musica che appartiene al passato (o quantomeno che ha oggi meno riscontro commerciale di altri generi), ha comunque proposto qualcosa di originale e può fare da “rifugio” per chiunque non ami la musica moderna e cerchi qualcosa di diverso, di più stimolante. Quindi cito gruppi come Genesis, Yes e King Crimson, fermo restando che ci sono state anche altre esperienze fondamentali nella storia della musica dalle quali non si può prescindere, esperienze che hanno condotto a creare qualcosa di nuovo, qualcosa che prima nemmeno si immaginava (Pink Floyd, Jimi Hendrix). Lo spirito di innovazione, la ricerca dell’originalità, è qualcosa che va comunque apprezzato.
- Demetrio-
Io, fra tutti nella band, sono probabilmente quello meno legato al genere progressive. Ho conosciuto i Genesis e il genere in sé solo una volta entrato nel gruppo; i miei interessi musicali sconfinano più nel jazz (Coltrane, Davis), nella fusion (Pastorius, i Weather Report, Metheny) e, per il rock, nell’elettronica intelligente di gruppi come i Radiohead o nelle venature ambient di band come i Sigur Ròs, due gruppi che, per me, rappresentano come non tutto ciò che è moderno sia da buttare. Però, oltre ad apprezzare chiaramente Hendrix ed i Pink Floyd, sopra citati, ho scoperto un notevole amore per gruppi come i Popol Vuh (magari ancora in virtù delle loro sfumature ambient) e gli Area, fautori di una brillante, originalissima e mai eguagliata commistione di jazz, fusion, progressive, rock classico, e musica tradizionale (greca, araba) che dovrebbe essere d’ispirazione, per intensità e ricercatezza, a tutte le band che vogliano comporre in modo originale.

- A&B -
Che prospettive offre la vostra zona per un gruppo come i Time Keepers ?
- Andrea -
Indubbiamente la particolarità del nostro lavoro e l’assenza di una voce divengono problemi un po’ pesanti quando si tratta di suonare in giro la nostra musica: trovare il contesto adatto all’interno del quale inserirsi non è semplice, le difficoltà che incontriamo per trovare spazi adeguati alla rappresentazione de “L’Ultimo Uomo…” lo dimostrano.
- Luca -
Comunque, ad onor del vero, c’è anche chi mostra interesse ed attenzione verso proposte musicali come la nostra, che vogliono situarsi al di là delle mode del momento e puntare verso qualcosa di più; qualcuno che si espone per aiutarci l’abbiamo anche incontrato, almeno finora!
- Demetrio -
Comunque resta il fatto che questo genere di problemi è comune anche a molte altre band, che come noi faticano per trovare spazi che consentano loro di esprimersi. Qui abbiamo anche cercato di organizzarci in qualche modo, federandoci tra gruppi, tenendoci in contatto per scambiarci date, informazioni, occasioni: è un’idea che condividiamo con altri ragazzi ed altre band di Pistoia da un po’ di tempo, purtroppo però i tentativi finiscono quasi sempre per saltare (anche perché si trova sempre qualcuno cui non interessa darsi una mano o che tira solo acqua al suo mulino). Ci sono molte incomprensioni, sarebbe meglio per tutti se esistesse un clima cooperativo tra le band, che però non c’è nemmeno laddove, come nella scena pistoiese, sarebbe possibile. La scena musicale della nostra città (Pistoia e provincia, s’intende) è presente ed è viva, ci sono numerosi gruppi validi e di sicuro interesse, alcuni anche recensiti sul vostro sito, ma le difficoltà restano, perché le occasioni sono poche e spesso nemmeno adatte a tutti noi. Non voglio farmi nemici con questo, ma trovo che l’importanza data a volte a certe esperienze un po’ manieristiche e molto modaiole, a visioni musicali (francamente di scarso spessore) presentate e spinte unicamente perché in voga sul momento, sia un po’ esagerato (mi riferisco al proliferare incontrollato di gruppi punk formati da ragazzini imbottiti di soldi che non si capisce contro cosa vogliano sfogare la propria rabbia, ad esempio, oltre a farlo decisamente male, e che si definiscono indie senza rendersi conto di essere tutto il contrario): è chiaro che tutto ciò che è diverso ne esce “menomato”, trascurato, non riesce ad esprimersi compiutamente. Questo è però qualcosa da imputarsi poi nemmeno tanto alle band, quanto a chi organizza eventi indossando, evidentemente, comodi paraocchi che gli impediscono di vedere la reale ricchezza e forza anche di visioni musicali sinceramente alternative, e non meramente “costruite” ad arte seguendo le mode.
Non ci resta che sperare che la situazione si evolva presto, cambi in meglio: il materiale c’è, la scena è viva, e penso a nomi come i S.U.S., come i Magic Medicine ed altri ancora, e ci voglio mettere anche noi, quindi non tutto è perduto.


- A&B -
Qual è il rapporto dei Time Keepers con Internet ed in generale con i nuovi media ? ritenete che per un gruppo come il vostro possano essere ottimi mezzi per promuovere il vostro lavoro ?
- Andrea -
Internet è un mezzo potente, davvero molto potente, perché può giungere ormai a chiunque in qualunque parte del mondo; d’altra parte, non è un mezzo che da solo può garantirti la visibilità, il successo e cose di questo genere. Questo fatto è da legarsi anche alla dispersività del mezzo: arriva a tutti e tutti ne fanno uso, quindi è chiaro che nel mare magnum della rete il rischio del “sovraccarico” di informazioni sia sempre vivo. In rete si trova di tutto ma senza alcun ordine, e questo non aiuta di certo a farsi strada. Chiaramente internet, se usato nel giusto modo, può essere latore di ottimi frutti: bisogna sempre ricordare, però, che è l’aspetto musicale ad essere fondamentale. My Space, di cui anche noi facciamo uso, non è la musica: è un modo per scambiarsi informazioni, conoscere gente, farsi, a volte, degli amici, ma la musica è altro, non è qualcosa che si può ridurre alla pagina internet, è il momento in cui si compone, sono le giornate passate in sala prove, sono i concerti. La musica è tutto questo, e internet da solo, con My Space e tutto il resto, non ne è che la facciata, la faccia pulita da mostrare al mondo. Dietro c’è la fatica, il lavoro. Internet è solo un mezzo di comunicazione, importante, prezioso, ma niente di più.

- A&B -
Nel ringraziare i Time Keepers per il tempo che ci hanno dedicato li saluto a nome dei lettori di Artists&Bands e vi do la possibilità di concludere questa intervista come desiderate
- Demetrio -
Beh, che dire? Che il lavoro continua. In ponte abbiamo la rappresentazione live del progetto “L’Ultimo Uomo Sulla Terra”: probabilmente un paio di date, in estate ed in autunno, forse anche in un teatro. La speranza, chiaramente, è che il tutto non si esaurisca qui, ma le possibilità di portare in giro questo lavoro, questo progetto, questa idea aumentino. A parte questo, la band non si ferma: stiamo lavorando da un mesetto per inserire anche una voce nel nostro universo musicale, cercando di non snaturare quello che siamo e il nostro modo di comporre. Diciamo che sussistono per ora anche alcune diatribe tra noi sulla direzione da prendere, anche se l’obiettivo resta sempre quello di produrre musica valida ed originale; per far questo non ci tiriamo indietro di fronte alla possibilità di contaminarci con altri generi, di sperimentare, di mettersi in discussione. Lo scarso peso che nella musica odierna hanno le realtà troppo legate ai generi ci fa capire che occorre essere in grado di mescolare tra loro più cose, più sensazioni, più idee, cercando di non perdere di vista la composizione, e quindi proprio la dimensione puramente musicale del discorso che vogliamo portare avanti. Insomma, ci consideriamo un work in progress, un enorme cantiere musicale: nessuno di noi sa dove saremo domani, sappiamo solo che vogliamo fare buona musica. Questo è l’obiettivo. Spero che continuerete a seguirci, e chissà… magari riusciremo anche a sorprendervi! Grazie per questa intervista, che reputiamo una grande possibilità, e per aver sopportato la nostra logorrea. Un saluto a te ed a tutti i lettori di Artists&Bands. Grazie a tutti.

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