Roma, 20 Settembre 2015 - Planet Live Club Gli Agorà incarnano il perfetto connubio tra jazz e progressive, una correlazione che essi sono in grado di sviluppare meglio di qualsiasi altro gruppo degli anni '70: più progressivi del Perigeo, più jazz di qualsiasi altra formazione prog di quel periodo, i marchigiani procedono, oggi come allora, in maniera cristallina e determinata, proponendo una formula sonora che rappresenta senz'altro un unicum inarrivabile, non certo limitato al solo panorama italiano. Con il seminale "Live in Montreux" de 1975 (unico gruppo italiano a vantare un esordio dal vivo, peraltro per un colosso come la Atlantic), l'allora quintetto pianta le basi di un genere musicale, raccogliendo l'eredità jazz-rock di derivazione perigeiana, a sua volta devota alla scena statunitense, condendola con atmosfere intime e calde tipiche della cultura musicale mediterranea, arricchendola di ascendenze di stampo squisitamente progressivo. L'anno successivo, con "Agorà 2", la formula viene leggermente variata, rimanendo sempre di successo, talché una certa complessità strutturale scalza alcune profusioni di stampo soffuso alle quali vengono preferiti ritmi più dinamici, continui cambi di tempo, sporadici protagonismi individuali (qui, un articolo monografico sulla prima incarnazione della band e la relativa discografia). Dopo queste due prove, il gruppo cambia organico (subentra, tra gli altri, il batterista Massimo Manzi, tuttora coinvolto) e intraprende una lunga tournée nel corso della quale trova il tempo di incidere (due soli brani) in previsione di un terzo album che, purtroppo, non vedrà mai la luce per prematuro scioglimento del combo. Nel 2013 esce l'atteso terzo capitolo degli Agorà, "Ichinen", un cd documentante quanto occorso dal 1980 in poi: il gruppo decide di pubblicare otto brani di nuova composizione, due inediti storici, tre rivisitazioni, per un totale di 13 composizioni che sono espressione di tre differenti incarnazioni, una del 1980, le altre del 2002 e del 2013 (qui la recensione del titolo). Orbene, nel loro esordio dal vivo a Roma, la band decide di fare le cose in grande: oltre a proporre un set list che arriva a lambire le 2 ore e mezza di durata, peraltro con il dichiarato intento di ricavarne un disco dal vivo, si presenta con una formazione allargata che prevede l'innesto di due membri aggiunti: il flautista Marco Agostinelli, musicista tanto sconosciuto quanto raffinato, e il tastierista Patrizio Fariselli, artista blasonato che non serve qui osannare oltre misura. Così arricchito, il combo si pregia di proporre brani estratti dai due album storici ("Serra San Quirico", "Tall El Zatar", "L'orto di Ovidio", "Punto rosso", "Piramide di domani" e "Cavalcata Solare") ma anche cose antiche rimaste inedite per più di 30 anni ("Progressive Suite" e "Costa Dell'Est" che sono, come sopra accennato, i due brani di fine anni '70 rimasti nel cassetto per lungo tempo) e nuovi pezzi, dei quali ben quattro suonati per la prima volta dal vivo ("Reset", "Bombook", "Puro" e "Oak Ballad"). Il primo set, proposto dal gruppo nell'attuale incarnazione - che annovera ben sei membri, di cui quattro storici - si pregia di arrangiamenti fini e delicati, sublimati dalla felice scelta della doppia chitarra (una delle quali, peraltro, suonata dal validissimo Gabriele Possenti con la tecnica del "fingerpicking"), ma anche e soprattutto dalla presenza del violoncello, strumento che, più che sostituire le tastiere, assenti nelle incarnazioni più recenti, rappresenta, nella sua peculiarità sonora, un quid pluris di inestimabile valore (qui, una nostra recente intervista al grande Gianni Pieri, che tale strumento ha suonato anche in altre band di matrice progressiva e etnica). L'ingresso di Patrizio Fariselli, che avviene a metà concerto, viene accolto con un'ovazione sincera da parte di un pubblico già devotamente proteso. Colpiscono più cose del pianista romagnolo: la sua perizia, mai soltanto tecnica, mai soltanto improvvisata; la sua capacità, ormai immutata, di inserirsi agevolmente tra le fila di organici molto distanti dalla sua formazione musicale; la scelta di farlo umilmente ma con una volontà talmente determinata, da arrivare a tradire le aspettative di un pubblico perennemente in attesa di un pezzo degli Area, esprimendo, così facendo, grande modestia interiore giacché egli si spoglia, ancorché per breve periodo, del suo immenso e glorioso passato: è un segno tangibile, questo, del profondo rispetto che egli nutre per l'organico che lo ospita sul palco. Il caldo abbraccio di un pubblico numeroso e rispettosamente energico - che annovera fans provenienti non soltanto dalla Città Eterna, tra i quali, addirittura due ossequiosi cittadini del lontano Giappone - cesella la validità di una data che è già ammantata di leggenda, grazie alla presenza di personaggi immensi come il citato Fariselli, l'ex enfant prodige Renato Gasparini (17 anni, allorquando esordì con la band sul palco di Montreux), il mitico sassofonista Orvidio Urbani (che, nonostante l'aspetto esile, giganteggia di lato, forse neanche troppo consapevole del suo elevato spessore, inossidabile colonna portante del gruppo), i maestri Massimo Manzi e Lucio Cesari che insieme formano una delle più credibili sezioni ritmiche della attuale e passata realtà progressiva della Penisola. "Io c'ero", mi viene spontaneo pensare alla fine del concerto: "era me che l'amico Renato Gasparini ha salutato con un affettuoso abbraccio prima del concerto; e sempre io ascoltavo attento e silente il coinvolgente discorso di Ovidio Urbani a fine esibizione, riguardate la sua quercia quadricentenaria e il suo immenso orto (da cui il titolo del brano "L'Orto di Ovidio"); e ancora io aiutavo il possente Massimo Manzi al trasporto della sua batteria, "più vecchia degli stessi Agorà", mi dice sorridente, "ma ancora così straordinariamente efficace".
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Ovidio Urbani: sax Data: 20/09/2015 Setlist:
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