Madame A. e il giovane non si cercano, ma si trovano. Lei, con il suo passato ingombrante e il suo disincanto, incontra lui, specchio delle sue fragilità dimenticate. Lui, nella sua impazienza e insicurezza, si specchia nella fermezza e nella vulnerabilità nascosta di lei. Liberamente ispirato al romanzo Madame Pylinska e il segreto di Chopin di Éric-Emmanuel Schmitt, la pièce si configura come un raffinato duetto teatrale che esplora le sfumature dell'apprendimento, dell'empatia e della trasformazione personale. Al centro della scena, Milena Vukotic interpreta Madame A., un'ex pianista di fama e insegnante di pianoforte, mentre Federico De Giacomo dà vita al discente apparentemente svogliato, un ragazzo fragile, fuori dagli standard, con persistente difficoltà nelle interazioni sociali e relazionali, zeppo di schemi di comportamento ripetitivi e stereotipati, tendenze ossessive, difficoltà ad interpretare le emozioni altrui. Attraverso dieci "movimenti" scanditi dalle lezioni di pianoforte, i due personaggi intraprendono un viaggio emotivo che li porta a confrontarsi con le proprie insicurezze, desideri e paure, in un dialogo continuo tra musica e parola. Figura di raffinata ambiguità, Madame A. ha scelto il silenzio e la distanza dalla scena. Dietro il suo aplomb ironico e la sua apparenza scostante, si cela una personalità complessa, segnata da rinunce, da una disciplina quasi ascetica e da un amore profondo, e forse doloroso, per la musica. Non è una maestra nel senso tradizionale: scevra infatti dall'impartire nozioni, cerca piuttosto di dischiudere nel suo allievo la capacità di ascoltare, di sentire, di abitare il silenzio tra le note. La sua psicologia è quella di chi ha preferito l’esilio dalle passioni troppo violente e ora, attraverso l’incontro con l'inesperienza dell'imberbe, ne rielabora il senso. Il Il suo sarcasmo è difesa ma anche invito alla profondità. All’ apparenza fragile, introverso, un po’ spaesato, il principiante (Federico De Giacomo) rappresenta l’inquietudine della pubertà, la ricerca faticosa di una forma, di un’identità. Egli non sa esattamente perché voglia imparare a suonare il piano: forse per sedurre, forse per colmare un vuoto, forse per trovare una forma di espressione che non ha ancora nome. È recalcitrante, ma profondamente affamato di senso. Il suo percorso, caldeggiato dalla madre, sotto la guida enigmatica e affettuosamente spietata della sua maestra, è una instillata educazione al sentire, alla pazienza, all’ empatia. Non unicamente con la musica ma con sé stesso. È un incontro di anime più che di corpi o ruoli: l’uno insegna all’ altro a suonare non tanto il pianoforte, quanto la propria melodia interiore. In questo scambio, fatto di piccoli scontri, attese, rivelazioni, si compie la vera lezione d’amore. Il gioco tra l’io presente (adulto) e l’io passato (giovane) crea una struttura riflessiva, quasi musicale: ciò che si ascolta fuori campo risuona nella performance del ragazzo in scena, e viceversa. Soffiantini, nella rappresentazione, tratteggia l'andirivieni dal presente al futuro, con un senso profondo del tempo, al modo in cui la vita si comprenda solo a posteriori. È una voce che non si limita a raccontare, in compagnia del suo fido taccuino, ma testimonia. Il gioco tra presente e passato crea una struttura rifrangente, quasi armonica che si manifesta nella performance del giovane in scena e viceversa. È come se il suono adulto completasse le frasi rimaste in sospeso nella verde età. Ed è in questo delicato equilibrio tra ricordo e svelamento che la narrazione trova la sua più intensa profondità poetica. La presente recensione si riferisce alla rappresentazione del 26 aprile 2025 |
Lezione d'amore.
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