L'inestimabile capolavoro con cui il Premio Nobel per la letteratura Samuel Beckett consolida la sua carriera teatrale, è in scena al Piccolo Teatro Grassi, in una versione per certi versi inedita grazie alla direzione di Massimiliano Civica, tre volte vincitore del Premio Ubu per la migliore regia, all'apprezzabile abilità interpretativa della protagonista Monica Demuru e del latente deuteragonista Roberto Abbiati, rispettivamente marito e moglie nel dramma "Giorni felici", scritto da colui che può ritenersi fra i più influenti intellettuali del XX° secolo il cui capolavoro assoluto "Aspettando Godot", è stato recentemete recensito dalla nostra rivista. La pièce ha inizio con lo stridente suono di una sveglia a sipario ancora abbassato, alert che scandirà l'avvicendarsi dei routinàri avvenimenti temporali i quali, in alternativa, potrebbero forse rischiare d'apparire talmente insignificanti e inesorabili, da manifestarsi come inesistenti. E interrata fino alla vita in un anomalo promontorio di gleba arida e incrinata, ci appare Winnie, il personaggio principale, che briosa sortisce dicendo «Un altro giorno divino!» come in preda ad un compulsivo riflesso condizionato innescato dall'assordante trillo. Ella si professa soddisfatta malgrado l'inverosimile e assurdo impedimento; il corredo di cui è dotata, fatto di una sporta contenente oggetti voluttuari, uno spazzolino da denti e un dentifricio, un pettine, un revolver marca Browning ed a latere sinistro un inoffensivo ombrellino da passeggio parasole sui toni del grigio e del nero in pendant con l'intera statica scenografia, è bastevole, a suo dire, ad affrontare la supposta dichiarata lieta ordinarietà. La donna, parzialmente inumata nel primo atto, si rivolge incessantemente a Willie, il marito, figura occulta e gravosa del racconto. L'uomo abita e staziona in appendice alla consorte, in un anfratto alle spalle della moglie, totalmente fuori dal suo campo visivo per l'impossibilità di movimento di lei e per via della sua totale inerzia psicofisica; refrattario alle continue sollecitazioni della muliebre copiosa dialettica, alla quale si sottrae attraverso il silenzio oppure simulando un cenno interattivo, dopo aver strisciato fuori dal tugurio guadagnando la posizione eretta per leggere ad alta voce, seminudo, di spalle e con la testa sanguinante, gli inserti lavorativi di un quotidiano, intervallando queste sporadiche azioni ad un occasionale autoerotismo. L'evoluzione del racconto nel secondo atto vede Winnie sepolta fino al collo, accompagnata dalla consueta loquela e dal paradossale ottimismo, paralizzata nei movimenti, inclusa quella torsione del busto che in precedenza le aveva permesso di intravedere l'amato consorte dal quale la divide una crescente, progressiva ed incolmabile distanza. Corre l'obbligo di ricordare che il Piccolo Teatro ebbe ad ospitare, nel 1982, una versione dell'opera diretta da Giorgio Strehler, la cui magistrale interpretazione femminile di Giulia Lazzarini è entrata a pieno titolo negli annali della storia del teatro meneghino. Testo questo di fondamentale rilevanza nella teatrografia dell’autore in quanto massima espressione della poetica afferente al Teatro dell’Assurdo, venne composto nel 1961, anno in cui Beckett convolò a nozze con la compagna, con la quale conviveva da venti anni circa; è anche l'unica opera in cui il drammaturgo tratta il tema del matrimonio. La presente recensione si riferisce allo spettacolo del 13 marzo 2024 |
Giorni felici
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