Il genio indiscusso di Anton Pavlovič Čechov, prolifico scrittore e drammaturgo russo del XIX secolo, si palesa attualissimo a noi attraverso la calzante lettura del regista Leonardo Lidi che si muove all'interno del mondo cechoviano in un percorso denominato "Progetto Cechov" che contiene in successione gli altri due capolavori "ll gabbiano", da noi recensito la scorsa stagione, e “Il giardino dei ciliegi”. Il perimetro delimitato, all'interno del quale si muovono le figure, non consente alcuna esondazione, neppure quella indotta dalla passione o dalla noia. La parete parquet venata di grigio è lo sfondo fisso, il suo reverse una piatta ipotesi di cambio scena che rappresenta gli ambienti interni ed esterni della tenuta del professor Serebrijakov. Così il dinoccolato dottor Astrov, ecologista e sociologo ante litteram, chiacchiera amabilmente con la vetusta balia Marina, straordinaria nel ruolo Francesca Mazza, detta Gnagna, crogiolandosi in un artefatta rievocazione d'un nostalgico passato, per poi marcare con enfasi quanto piuttosto risulti tediosa la vita del dottore di campagna. Al sopraggiungere di Vanja l'argomento si sposta bruscamente su quanto purtroppo le regole della casa siano state sovvertite dall'improvviso e non gradito arrivo del professore e della consorte Elena. Dove prima infatti regnava operosità e ordine, grazie alla metodica abnegazione nella gestione del fondo da parte di Sonja e dello zio, ora vige ozio e caos. Ivan Petrovič Vojnickij palesa, nei suoi verbosi discorsi, il netto disgusto nei confronti del professore per la sua inconcludenza e biasima il fatto che l'avvenente e giovane moglie Elena, di cui è segretamente innamorato, si sia votata ad un uomo così vecchio e insulso, sacrificando la sua esistenza. Sua madre Marija, ex suocera del professore, idolatra colui che fu il genero e redarguisce il figlio per le sue esternazioni irriverenti. Andato in scena nel 1899 al Teatro d’Arte di Mosca, quest'opera di Anton Čechov mostra intatta la prostrazione ed il male di vivere figli della frustrazione per i mancati obiettivi di vita e assenza di realizzazioni, per via di comune indolenza e paure bloccanti. Il gusto vintage a cui è affidata la parte dei costumi (Aurora Damanti), restituisce un sapore rarefatto, a tratti naif, alla pièce; ciò relega lo spazio tempo fuori da un'orbita reale, trasponendolo in un rigurgito introiettivo. Un cast eccellente che restituisce un risultato pari alle aspettative. La presente recensione si riferisce alla rappresentazione del 16 novembre 2024 |
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