Zio Vanja
Milano, Piccolo Teatro Strehler, 16 novembre 2024

Il genio indiscusso di Anton Pavlovič Čechov, prolifico scrittore e drammaturgo russo del XIX secolo, si palesa attualissimo a noi attraverso la calzante lettura del regista Leonardo Lidi che si muove all'interno del mondo cechoviano in un percorso denominato "Progetto Cechov" che contiene in successione gli altri due capolavori "ll gabbiano", da noi recensito la scorsa stagione, e “Il giardino dei ciliegi”.
Il perimetro delimitato, all'interno del quale si muovono le figure, non consente alcuna esondazione, neppure quella indotta dalla passione o dalla noia. La parete parquet venata di grigio è lo sfondo fisso, il suo reverse una piatta ipotesi di cambio scena che rappresenta gli ambienti interni ed esterni della tenuta del professor Serebrijakov.
Così il dinoccolato dottor Astrov, ecologista e sociologo ante litteram, chiacchiera amabilmente con la vetusta balia Marina, straordinaria nel ruolo Francesca Mazza, detta Gnagna, crogiolandosi in un artefatta rievocazione  d'un nostalgico passato, per  poi marcare con enfasi quanto piuttosto risulti tediosa la vita del dottore di campagna.
Al sopraggiungere di Vanja l'argomento si sposta bruscamente su quanto purtroppo le regole della casa siano state sovvertite  dall'improvviso e non gradito arrivo del professore e della consorte Elena.
Dove prima infatti regnava operosità e ordine, grazie alla metodica abnegazione nella gestione del fondo da parte di Sonja e dello zio, ora vige ozio e caos.
Ivan Petrovič Vojnickij palesa, nei suoi verbosi discorsi, il netto disgusto nei confronti del professore per la sua inconcludenza e biasima il fatto che l'avvenente e giovane moglie Elena, di cui è segretamente innamorato, si sia votata ad un uomo così vecchio e insulso, sacrificando la sua esistenza. Sua madre Marija, ex suocera del professore, idolatra colui che fu il genero e redarguisce il figlio per le sue esternazioni irriverenti.
Andato in scena nel 1899 al Teatro d’Arte di Mosca, quest'opera di Anton Čechov mostra intatta la prostrazione ed il male di vivere figli della frustrazione per i mancati obiettivi di vita e assenza di realizzazioni, per via  di comune indolenza e paure bloccanti.
Il gusto vintage a cui è affidata la parte dei costumi (Aurora Damanti), restituisce un sapore rarefatto, a tratti naif, alla pièce; ciò relega lo spazio tempo fuori da un'orbita reale, trasponendolo in un rigurgito introiettivo.
Un cast eccellente che restituisce un risultato pari alle aspettative.


La presente recensione si riferisce alla rappresentazione del 16 novembre 2024



Zio Vanja

Progetto Čechov, seconda tappa
di Anton Čechov
regia Leonardo Lidi
traduzione Fausto Malcovati
con
Giordano Agrusta
Maurizio Cardillo
Ilaria Falini
Angela Malfitano
Francesca Mazza
Mario Pirrello
Tino Rossi
Massimiliano Speziani
Giuliana Vigogna
scene e luci Nicolas Bovey
costumi Aurora Damanti
suono Franco Visioli
assistente alla regia Alba Porto
produzione Teatro Stabile dell’Umbria
in coproduzione con Teatro Stabile di Torino
Teatro Nazionale e con Spoleto Festival dei Due Mondi.
Dopo Il gabbiano, Leonardo Lidi continua la sua indagine tra i capolavori del grande drammaturgo russo. «La seconda tappa del Progetto Čechov – spiega il regista – abbandona il gioco e si imbruttisce col tempo. Spazza via i contadini che citano Dante a memoria, per consentire un abuso edilizio ambizioso e muscolare. C’era un grande prato verde dove nascono speranze e noi ci abbiamo costruito una casa asfissiante con troppe inutili stanze a occupare ogni spazio vitale. Avevamo sfumature e ora c’è un chirurgico bianco e nero che strizza l’occhio allo spettatore intelligente. Avevamo donne e uomini che cercavano la vita attraverso l’amore, ma abbiamo preferito prenderne le distanze. Quando? Quando è diventato “troppo poco” parlare d’amore? Come se poi ci fosse qualcos’altro di interessante. Se nel Gabbiano sprecavamo carta e tempo nel ragionare sulla forma più corretta con la quale passare emozioni al pubblico, divisi tra realismo e simbolismo, tra poesia e prosa, tra registi, scrittori e attrici, e ci bastava una panchina per tormentarci dei dolori del cuore, in Zio Vanja l’arte è relegata a concetto museale, roba da opuscoli aristocratici, uno sterile intellettualismo che non pensa più al suo popolo, che annoia la passione e permette agli incapaci di vivere di teatro». (Fonte: comunicato stampa)


Piccolo Teatro Strehler

Largo Greppi,1,
20121 Milano
Tel: 02 21126116
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