Leonardo Lidi mette in scena una versone dell'opera di Čechov che restituisce la meritata contemporaneità, mantendo inalterata l'intenzione. Latitante ad arte la scenografia tetragonale, riassunta, durante il primo atto, in una panca funzionale alla seduta e al raduno del gruppo quasi intero ed un valigione sineddoche di partenza durante il terzo; metafora di staticismo l'illuminazione, fissa e calda verticalmente, fredda lateralmente a contrasto sui lati; tutt'intorno a raccolta il cerchio dei protagonisti: Arkàdina, Treplev, Sòrin, Nina, Samràev, Polìna, Maša, Trigòrin, Dorn e Medvèdenko, in un flusso di scene che alterna duetti ed unisoni in uno scambio sardonico e feroce, come atomi della stessa molecola e parti di un deleterio 'elemento famiglia'. Il dramma in 4 atti, scritto da Anton Pavlovič Čechov nel 1895, è un fulgido esempio di metateatro moderno, con chiari riferimenti intertestuali ed analogie nella trama con l'Amleto di Shakespeare. Il racconto si svolge in una tenuta estiva, proprietà di Sorin (Orietta Notari), ex Consigliere di Stato di salute cagionevole. Sorin è il fratello della famosa attrice Arkadina (Francesca Mazza), che è appena giunta nella tenuta con il suo amante scrittore, Trigorin (Massimiliano Speziani), per una breve vacanza. Nel primo atto, le persone che sono nella tenuta di Sorin si riuniscono per assistere a un dramma scritto e diretto da Konstantin Treplev, figlio di Arkadina. La simbologia del gabbiano, accostato nell'opera originale alla fragile esistenza di Nina (Giuliana Vigogna), amata da Konstantin e figlia di un ricco proprietario terriero, apparentemente felice vicino al suo corpo d'acqua ma distrutta dal 'cacciatore Trigorin', che vuole cinicamente cristallizzare lo struggimento proponendo l'impagliatura del volatile morto per mano di Konstantin, quì trova più ampio respiro coinvolgendo nell'allegoria tutti gli attori del dramma in un ciclo senza fine di amarezza e incomunicabilità. Il riferimento al periodo in cui Čechov, attraverso il suo viaggio a Nizza respira l'influsso dei poeti maledetti, viene citato in musica con un testo composto da Charles Aznavour nel 1967 e interpretato dalla meneghina Gigliola Cinquetti, La Boheme, dal fraseggio rivelatore di una condizione di insoddisfazione e frustrazione nell'arte pittorica ben tarabile alla netta insoddisfazione che lo stesso Čechov visse a sua volta con il teatro. Questa rivisitazione del testo originale ha reso moderna la pièce attraverso un processo di sottrazione, cassa di risonanza questa di una semiotica dichiarata, mirata al pieno raggiungimento della profilazione di psicologie sofferenti e di relazioni prive di sano equilibrio nelle quali sia ampiamente attuabile un processo di riconoscimento e immunizzazione. Il IV atto chiosa sul tetro finale, scandito da una candida voce femminile fuori campo che snocciola una logorante tombola a cadenzare il tempo, i minuti, i mesi, gli anni sovrapposta alla ballata della vita che fa da sfondo all'epilogo che non svelerò. Caldamente consigliato. Il Piccolo ha destramente apprezzato i 110 minuti di rappresentazione salutando il cast con ripetuti plausi di elogio. La presente recensione si riferisce alla rappresentazione dell'11 aprile 2023 |
Il gabbiano Largo Greppi, 1, |