Lo scenario elegantemente minimal (scene Guia Buzzi - disegno luci Luigi Biondi) riduce la realtà del racconto raccogliendo la bizzarria dei personaggi intorno ad una tavola in cui gli stessi, in un andirivieni di positure di valenza intrapsichica, alternano memorie autobiografiche ad iperboliche fantasie fabulistiche. Cosimo Piovasco di Rondò (Matteo Cecchi), dodicenne rampollo di nobile lignaggio, in seguito a un banale alterco con i genitori per un piatto di lumache, si arrampica su un albero del giardino di casa dichiarando di non volerne più discendere per il resto della vita. L'adolescente dimostra ben presto che questa scelta, smaccatamente eccentrica, non è frutto di un capriccio. Esplorando l'ambiente circostante unicamente attraverso boschi e foreste, costruendo a poco a poco una dimensione routinaria parallela, elevata e bucolica, non da misantropo, mantenendo un costante coinvolgimento nella società contemporanea, altruista e consapevole, egli teorizza e dimostra che per essere davvero compartecipe della vita degli uomini, la sola via fosse d’essere separato dagli altri. Collocato in pieno Illuminismo, all'ombra della rivoluzione francese, come ne "Il cavaliere inesistente" e "Il visconte dimezzato" il romanzo, così come la pièce (squisita la regia di Riccardo Frati), assume connotati fiabeschi, prospettando così quella chiave di lettura della realtà insita in questa fase degli scritti calviniani, tra realismo e fantasia. Per Calvino la scelta arboreo/ascensionale che l'aristocratico protagonista compie non rappresenta una fuga dal mondo, dalle relazioni interpersonali e dalla società bensì tratteggia la ferrea volontà di un uomo che intende seguire fino in fondo un autoimposto dictat, poiché senza di esso, sarebbe privo di una identità da raccontare a se stesso e agli altri. A questo prototipo dell’intellettuale illuminista, che lo stesso Sciascia defini' “una sentinella della ragione, vigile e scattante contro tutti i mostri della natura e della storia”, lo scrittore oppone specularmente il personaggio femminile di Viola (Marina Occhionero), figlia dei Marchesi d'Ondariva, vicini della famiglia di Cosimo e suo unico vero amore, che incarna la spinta romantica e barocca, come pulsione distruttiva e corsa verso il nulla. Nell’interpretazione dello scrittore, la prospettiva di vita del barone non risolve affatto tutti i problemi ma può, ancora oggi, lanciare un monito all’uomo contemporaneo. Biagio (Leonardo De Colle), l'io narrante, obbediente figlio minore e fratello del protagonista, tesse la narrazione legando Arminio Piovasco di Rondò (Mauro Avogadro), il padre ambizioso e anacronistico a Battista (Marina Occhionero), la sorella reclusa, all'Abate Fauchelafleur (Michele dell'Utri), al Cavalier Avvocato Enea Silvio Carrega (Nicola Bortolotti) alla Generalessa Corradina Von Kurtewitz madre autoritaria e a Gian dei Brughi amico brigante. L'eccellente tratto interpretativo dell'intero cast raggiunge punte di perfezione a tratti deliziosamente caricaturale nella figura materna della graduata Corradina (Diana Manea) e in Gian dei Brughi (Michele Dell’Utri). Come sempre al Piccolo, lo spettacolo è di caratura prestigiosa. La presente recensione si riferisce allo spettacolo del 27 settembre 2024 |
Il barone rampante
|