Florian Zeller, drammaturgo del testo, scrittore, e regista francese, vincitore del Premio Oscar alla migliore sceneggiatura non originale e dell'European Film Award per il suo primo film "The Father", infigge il racconto teatrale in una trilogia: "Il Padre", "La Madre", "Il Figlio"; scritture queste accomunate unicamente dal numero dei personaggi - 6 - e dalle loro implicazioni umane ed interpersonali. Per mettere in scena "Il Figlio", il regista Piero Maccarinelli sceglie destramente di affidare l'interpretazione ad un cast eccellente, composto da Cesare Bocci, Galatea Ranzi, Giulio Pranno e Marta Gastini, i quali ci pospongono nella camera ombrosa dei pensieri più reconditi, con un ritmo serrato, costringendoci ad osservare inermi tutte le vistose carenze famigliari rappresentate sul palcoscenico, come un flusso di coscienza joyciano declinato in terza persona. In effetti, la trama è un espediente per evidenziare quanto sia complicato adempiere al ruolo genitoriale e coniugale ed al contempo quanto possa essere difficile intercettare i propri sentimenti restandone fedeli senza ledere quelli altrui nell'ordito parentale. Anna e Piero, separati per via della diaspora del marito che non perde tempo a ricreare un nucleo amoroso con Sofia ed il loro neonato Sasha, sono i genitori di un adolescente. Nicola, il figlio, manifesta la sua sofferenza per le dinamiche scaturite dalla separazione, latitando da mesi a scuola e dimostrandosi scostante e riottoso nei confronti della sua coinquilina madre, la quale, esasperata da questa condotta, lancerà un sos verso il suo ex consorte, il quale dopo una prima refrattarietà, accoglierà in seno al suo nuovo nido il primogenito problematico, certo di poterlo transitare fuori da questa condizione di micro depressione. Le scenografie (Carlo de Marino) fatte di atri pannelli che incorniciano iridescenti rettangoli, scorrono lateralmente regalando la suggestione di lettura di pagine di un amaro racconto, mentre violoncello e viola (musiche Antonio di Pofi) accompagnano la narrazione, con voluta stridenza armonica, aumentandone progressivamente il pathos emozionale. La pura nemesi psicologica viene rappresentata in questo dramma con lucida intensità, attraverso una amalgama interpretativa ed una direzione di regia eccellenti, prive di retorica e costantemente calzanti nel crescendo delle emozioni. Note di grande merito artistico vanno attribuite senza dubbio alcuno a Cesare Bocci ed al giovane Giulio Pranno. Applausi a cascata meritatissimi! clicca QUI per leggere la recensione della rappresentazione romana La presente recensione si riferisce alla rappresentazione del 23 febbraio 2024 |
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