Attraverso una esposizione coinvolgente e rigorosa, l'autrice incasella le vicende delle numerose e impavide che, durante la Seconda Guerra Mondiale, scelsero di opporsi al fascismo, contribuendo in modo latente ma determinante alla lotta per la libertà. Il reading a troi, accompagnato da una sofisticatissima fisarmonica (Giulia Bertasi) si distingue per l'ampio utilizzo di fonti archivistiche, tra cui fotografie e testimonianze raccolte in oltre quarant'anni di ricerche, che permettono di restituire un'immagine vivida e autentica delle protagoniste. Benedetta Tobagi, Arianna Scommegna e Giulia Bertasi riescono a intrecciare le storie individuali in un racconto corale che mette in luce l'inimmaginabile gamma di esperienze muliebri di compatto e sfaccettato ostracismo al regime: dalle staffette alle combattenti armate, dalle lavoratrici alle intellettuali, tutte accomunate da un profondo senso di giustizia e autodeterminazione. La forza del racconto risiede anche nella capacità di coniugare il rigore della ricostruzione storica con una profonda empatia verso le protagoniste, offrendo al lettore e agli astanti in sala, una fruizione coinvolgente, a tratti scanzonata e spesso toccante. Il riconoscimento del Premio Campiello 2023 conferma il valore di quest'opera, che rappresenta un necessario contributo, fondamentale alla memoria collettiva e alla comprensione del ruolo delle donne nella storia italiana. Durante l’ultima fase della secondo conflitto bellico mondiale, tra l’8 settembre 1943 e il 25 aprile 1945, l’Italia visse una drammatica cesura storica: la guerra civile e l'ostruzionismo sistemico al nazifascismo. In questo contesto tumultuoso e cruciale, le donne italiane, troppo spesso dimenticate dalla narrazione ufficiale, agirono sotto traccia come protagoniste coraggiose e imprescindibili del movimento resistenziale declinando un maternage che, in questo contesto, travalicò la dimensione privata e domestica per assumere una valenza politica e collettiva di cura come azione sovversiva, che sfida l’ordine imposto non solo accogliendo e sostenendo, ma anche occultando, salvando le vite mentre si combatte per cambiarle. Molte fra loro offrirono rifugio a partigiani, ebrei, ricercati politici, cucinarono, curarono feriti, ospitarono riunioni clandestine. Alcune crebbero figli propri e di altri in clandestinità, assumendo una maternità allargata, solidale. In questo senso, il maternage resistenziale fu un gesto di insubordinazione civile, radicato nella tradizione ma proiettato verso un’idea nuova di società. Le attiviste non si limitarono a svolgere ruoli di supporto: molte abbracciarono consapevolmente la lotta antifascista, motivata da una profonda coscienza politica, un’etica della giustizia e un forte desiderio di emancipazione. Attraverso la loro azione, contribuirono in maniera determinante non solo alla liberazione nazionale, ma anche alla ridefinizione del ruolo femminile nella società italiana. Le forme dell’impegno furono molteplici: le staffette partigiane, spesso giovanissime, attraversavano montagne e città con messaggi, armi e viveri, rischiando la vita in ogni istante. Altre parteciparono attivamente alle azioni di sabotaggio, all'organizzazione di scioperi, all'assistenza sanitaria clandestina e alla protezione di ebrei e perseguitati politici. Alcune scelsero le armi, diventando combattenti a pieno titolo nei ranghi delle brigate partigiane. Fu anche grazie all’opera delle attiviste che nacquero i primi nuclei di democrazia dal basso, in cui la solidarietà, la condivisione e la determinazione collettiva si opponevano alla brutalità del regime. Il loro contributo, tuttavia, fu spesso ridotto nel dopoguerra a una funzione ancillare o perduto nell'oblio collettivo, nonostante l’impegno di molte storiche e intellettuali nel restituirne il giusto rilievo. La Resistenza fu per queste donne un'esperienza totalizzante: un momento di consapevolezza politica e civile, ma anche di emancipazione personale, in cui parecchie scoprirono la propria voce, la propria forza e il diritto a essere protagoniste della storia. Un’eredità preziosa che ancora oggi interroga la memoria storica del nostro paese. Citeremo alcuni dei nomi emblematici che hanno incarnato lo spirito della lotta all'oppressione italiana, con brevi cenni delle loro storie. Teresa Mattei, eletta all'Assemblea Costituente nel 1946, fu una delle più giovani e attive partigiane. Raccontò, come aneddoto simbolico, di aver indossato il rossetto una sola volta nella sua vita, per mettere una bomba, metafora del suo impegno nella lotta antifascista. Virginia Tonelli, conosciuta come "Luisa", fu arrestata e torturata nella Risiera di San Sabba, campo di concentramento italiano. Dopo dieci giorni di torture, fu arsa viva per essersi rifiutata di parlare. Tina Anselmi, con il nome di battaglia "Gabriella", partecipò attivamente come staffetta partigiana. Dopo la guerra, intraprese la carriera politica, diventando la prima donna a ricoprire la carica di Ministro del Lavoro e della Sanità in Italia. Ada Gobetti, intellettuale e antifascista, diede il suo contributo attraverso l'azione politica e l'impegno culturale. Dopo la guerra, fu tra le prime donne a essere elette nel Consiglio comunale di Torino. Irma Bandiera, giovane bolognese, spiccò per il suo coraggio e il suo sacrificio. Catturata e torturata dai fascisti, non rivelò informazioni sui suoi compagni e fu uccisa. Ida D’Este, fu una staffetta partigiana veneziana, attiva nella Resistenza durante la Repubblica Sociale Italiana. Il suo compito principale era quello di trasportare messaggi, armi e informazioni tra i gruppi partigiani, spesso in bicicletta, sfidando il rischio costante di perquisizioni, arresti e torture. Celebre per il suo spirito ironico e la lucidità, Ida stilò due elenchi semiseri nei quali elencava le qualità indispensabili per una staffetta: tra queste, "saper andare in bicicletta", "saper tacere" e "ispirare fiducia anche senza parola d’ordine". Dopo la guerra, il suo impegno continuò nel campo dell'attivismo e della memoria, affinché il contributo delle donne nella Resistenza non venisse dimenticato. Nel gennaio del 1945, Ida fu arrestata dalla famigerata Banda Carità a Padova e sottoposta a violenza a Palazzo Giusti. Successivamente, venne deportata nel campo di concentramento di Bolzano, dove rimase fino alla Liberazione. Le sue esperienze sono narrate nel libro Croce sulla schiena, pubblicato nel 1953, in cui descrive con lucidità e ironia le difficoltà affrontate come staffetta e le atrocità subite durante la prigionia. Fragoroso l'applauso finale annesso di commosso coro popolare intonato all'unisono dalle protagoniste e dal pubblico. La presente recensione si riferisce alla rappresentazione del 25 aprile 2025 |
La resistenza delle donne
|