Leggio e seduta popolano il palcoscenico nel quale una irresistibile Lucia Poli s'aggrazia, senza alcuno sforzo, con leggiadria funambolica, la compiacenza degli astanti.
La rara capacità interpretativa rende il volteggio atletico, fra la straordinaria modernità dei versi vergati in volgare trecentesco, armonioso ed elegante. La monologhista incalza e accende l'attenzione del pubblico attraverso una mimica che pare una danza, accompagnata dal magnetismo ipnotico del sagace timbro vocale, modulato all'uopo, quando è opportuno che esso si immerga pienamente nella simbologia del racconto che intesse ricordi, garbatamente malinconici, d'una infanzia e giovinezza illuminanti. Una via di fuga, questa ebbe a trovare con la sua opera Boccaccio, ambientando nelle campagne fiorentine il racconto, in cui la brigata composta da sette fanciulle e tre giovani si rifugiò per contrapporre alla morte, causata dalla peste nel 1348, l'antidoto curativo e vitale attraverso la parola in novella e il conseguente diletto derivante dall' intrattenimento. Cinque sono i racconti estrapolati e selezionati dalla protagonista: Masetto da Lamporecchio (III giornata, novella prima), Calandrino pregno (IX giornata, novella terza), Fra' Cipolla (VI giornata, novella decima), Andreuccio da Perugia ( II giornata, novella quinta), Alibech ( III giornata, novella decima). L'autore, si evince da una riflessione sapientemente indotta, risulta moderno al punto da essere definito dal celebre italianista Walter Binni, professore universitario della protagonista, il primo letterato del Rinascimento. Egli, aggiungerei, rappresenta il ponte tra il Medioevo e l'età moderna, per via della scelta di rivolgersi ai lettori con modi realistici, toni ora commossi e accorati, ora ironici e divertiti per raccontare i vizi e le virtù degli uomini, della commedia del vivere di cui tutti siamo protagonisti. Consigliatissimo!
La presente recensione si riferisce alla rappresentazione del 26 ottobre 2024 |
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Decameron
Giovanni Boccaccio con Lucia Poli
Fin da piccola ho avuto una certa familiarità con il Decameron: nella libreria di casa c’erano i libri della Scala d’Oro, una raccolta di classici selezionati per bambini, dove lessi le mie prime novelle del Boccaccio. Inoltre la mamma, maestra elementare, ci raccontava volentieri di Chichibio, Calandrino e le loro avventure di astuzia e dabbenaggine. Tanto che, quando ci portava la domenica a fare la passeggiata lungo il Mugnone, per noi più piccoli era consueto giocare “all’elitropia”, cioè raccogliere sassi neri e cercare di colpirsi a vicenda nei talloni. “Piano, ragazzi, attenzione, non fatevi male!” ci gridava lei…. Ma ormai il liquore era istillato. Più tardi, all’Università, il mio professore di Lettere Walter Binni ci fece un corso su Boccaccio, definendolo il primo scrittore del Rinascimento, per lo sguardo rivolto all’uomo e al mondo terreno e per la centralità della “parola” nella sua opera. Infatti i dieci giovani che fuggono dalla peste e vanno in campagna a ricreare il regno della vita contro la morte, passano la maggior parte del loro tempo a raccontarsi novelle. E’ il trionfo della parola e della creatività. “Novellare è arte umile, ma è arte grande – scrive Boccaccio – perché trasforma le cose. Rende meraviglioso un gobbo, ridicolo un principe, dolce il passare del tempo… e ci fa essere liberi e felici come Dio. Tutte le storie nascono dalla profondità del sangue e del respiro. Tutte le storie, cambiate il nome, sono la vostra”: Su questa strada molti autori hanno seguito l’esempio di Boccaccio, da Giovan Battista Basile con Lo cunto de li cunti (o Pentamerone), al nostro contemporaneo Italo Calvino che ha raccolto le Fiabe italiane pescando nella tradizione dell’Ottocento e del primo Novecento, in varie regioni d’Italia e traducendole dal dialetto in un limpido italiano. Nella sua Lezione americana sulla Leggerezza, Calvino cita Giovanni Boccaccio e Guido Cavalcanti come esempi sommi di questa capacità. E mette in guardia: leggerezza non è superficialità, al contrario, è profondità nella leggiadria, è uno stato di grazia, è un passo di danza, una sinfonietta, sono gli atomi di Epicuro e il De rerum naturae di Lucrezio, è l’incipit di una poesia di Cavalcanti: “Perch’io non spero di tornar giammai / ballatetta in Toscana / va’ tu leggera e piana / dritta alla donna mia…” e la risposta che dà Boccaccio a chi lo accusa di non essere abbastanza serio e grave: “Io non sono grave, ma leggero, infatti, messo dentro l’acqua, galleggio!” Le novelle del Boccaccio sono fantasiose e leggiadre, quella che oggi può sembrare più dura è la lingua: si tratta infatti del volgare del Trecento. Bisogna entrarci pian piano, ascoltando la musicalità delle frasi e lasciandosi irretire dalle immagini, che vengono evocate dalle metafore più ardite. E poi ci sono le voci dei vari personaggi, sempre originali e differenziati nei caratteri e nei toni. Per me è tornare a casa e tuffarmi in un grande gioco. Il divertimento più grande è riuscire a giocare insieme al pubblico. LE CINQUE NOVELLE DEL DECAMERON SELEZIONATE DA LUCIA POLI: 5) Alibech – III giornata, novella decima – (recitata nella sua forma narrativa)4) Andreuccio Da Perugia – II giornata, novella quinta – (in lettura)3) Fra Cipolla – VI giornata, novella decima – (in lettura)2) Calandrino pregno – IX giornata, novella terza – (recitata in riduzione drammaturgica)1) Masetto Da Lamporecchio – III giornata, novella prima – (in lettura). (Fonte: comunicato stampa).
Teatro Gerolamo
Piazza Cesare Beccaria, 8, 20122 Milano
Tel: 02-45388221
Spettacolo odierno ore 16:00
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