Milano, in seno al Teatro Franco Parenti, racconta e tributa il drammaturgo americano più importante del XX secolo, Tennessee Williams, mettendo in scena cinque atti unici di cui quattro mai rappresentati in Italia. Un micro puzzle complesso che definisce una sciarada incalzante di psicodrammi interiori di coppia, fatta di vittime inconsapevoli, prigioniere e dilaniate dal desiderio di sfuggire all'ineluttabile destino, soggiogate tuttavia dell'ossessione maladattiva. Una stanza incapsulata all'interno degli sguardi del pubblico che osserva attonito il parossistico dissesto dell'unico ambiente spazio temporale, esondante di oggetti caoticamente riposti che sembrano animarsi e brulicare similmente alle idee dei personaggi, stratificate e divergenti. Guadagnano la scena della sala la palpitante Valentina Picello ed il nevrile Francesco Sferrazza Papa, unici adamantini protagonisti, inscenando "Questa proprietà è condannata", scritto nel 1941, portato al debutto a New York l'anno successivo e trasposto per il grande schermo da Sidney Pollack nel 1966 che ne fece il noto capolavoro cinematografico dal titolo "Questa ragazza è di tutti". Così, delle travi in scena, diventano straordinariamente freddi binari saturi di plumbee polveri sottili, di cui i piedi scalzi di Willie che è solita camminarvici in bilico, sono intrisi e irrimediabilmente compromessi, tanto quanto il suo animo risulta contaminato dal dolore causato dalla perdita della sorella, evento tragicamente luttuoso che la accomuna al giovane Tom. Con un cambio repentino ci troviamo a scrutare l'interno di un appartamento borghese di New York e la conseguente mutazione di tipologia di coppia (Ogni venti minuti, 1938). E ancora, il duo metamorfosa in un lui, ex boscaiolo, ubriacone, che inveisce contro la consorte, alle prese con il pianto notturno del loro neonato che la frustrante scarna quotidianità rende insopportabile (ll figlio di Moony non piange, 1941). Piombiamo in Vieux Carré, quartiere francese di New Orleans, nel quale una madre rigida e conformista è riluttante ad accettare l’inclinazione omosessuale del figlio trentenne, Eloi, che avrà la peggio (Autodafé, 1941). Chiosa la pièce da cui prende il titolo (Parlami come la pioggia e lascia che io ti ascolti, 1953), nel quale l'intreccio di maschile e femminile interseca due esasperati monologhi intrisi di medicamentose litanie d’amore, lenitive rispetto alla lesività del male del vivere quotidiano. Come non commuoversi, come non riconoscere che lo scrittore, genio assoluto, "figlio del sud", ci parla ancora nitidamente di sé attraverso le sue opere e, grazie ad una accurata regia (Andrea Piazza) che intercetta cavillosamente la sua profonda malinconia declinandola magistralmente, illuminandoci inequivocabilmente al contempo su ciò che noi stessi siamo. Eccellente! La presente recensione si riferisce alla rappresentazione del 25 ottobre 2024 |
di Tennessee Williams
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