Filippo Genuardi, interpretato dal versatile Alessio Vassallo, è il vermiglio protagonista, commerciante di legnami. Egli invia tre lettere al prefetto Vittorio Marascianno (Alfonso Postiglione), per richiedere l'installazione di una linea telefonica tra il suo magazzino e l'abitazione del suocero (Paolo La Bruna), ricco uomo d'affari. L'intento stesso della richiesta, apparentemente ambizioso sul piano degli affari, disvela sul finale un fatuo obiettivo. La scena, fissa nel suo staticismo apparente come la trama stessa, si svolge all'ombra di un istituzionale regio timbro ministeriale ottocentesco a tutta parete che diviene "canto" e "controcanto" grazie ad un suggestivo gioco di luci ed ombre amplificanti, attraverso cui rifrangere le "cose scritte" e le "cose dette" che lo stesso autore amava distinguere, discostandosi in tal modo definitivamente dai canoni classici della scrittura. Gli attori popolano il palcoscenico, arredando i capitoli della fitta e intricata trama, accompagnati dal peso di eccentriche sedute e canapè dall'aspetto di pagine ingiallite ed appallottolate, e ne animano il contenuto attraverso dialoghi ricchi di caricaturale specificità. Non ottenendo risposta, Pippo cerca degli appigli nel "Palazzo" rivolgendosi a Don Lollò, al secolo Calogero Longhitano, (Franz Cantalupo), colui che nella narrazione è decifrabile come l'antagonista, pezzo da novanta della mafia vigatese, al quale rivela il luogo in cui si nasconde il suo ex amico Sasà La Ferlita, eclissatosi per non pagare un debito di gioco al fratello di Don Lollò e per questo quindi braccato dal mafioso. In poco tempo il Genuardi si trova avviluppato in una situazione molto pericolosa e per lui ingestibile. Travestita di frivola vacuità, l'opera tratteggia a tinte forti una tela barocca che, ad una attenta analisi, restituisce le prospettive sceniche di una taglientissima e peculiare satira nei confronti della cultura regionale costretta e soggiogata, ahimè, dal patriarcato, dalla burocrazia di palazzo, dalla chiesa cattolica, dalle sottese ipocrisie politiche e dalla mafia, remota solo esteriormente, dato il particolare linguaggio commisto di italiano e siciliano tanto caro al maestro, ma più comune e attuale di quanto si possa ipotizzare. Eccellente prova di attoriato dell'intero cast, diretto da una impeccabile regia, unanime nel raggiunto obiettivo di rendere tangibile e tridimensionale, nei 130 minuti di rappresentazione, il racconto dell'ineguagliabile genio Camilleri. Punte di raffinatezza recitativa assoluta riferite a Franz Cantalupo, Alfonso Postiglione e Carlotta Proietti vanno dichiaratamente riconosciute, elencati in un ordine non casuale. Imperdibile! La presente recensione si riferisce alla rappresentazione del 30 gennaio 2024 |
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