Il tono lievemente malinconico d'una decadente camera d'albergo dagli arredi squisitamente seventies (scene Maurizio Balò), nella quale si dipana il groviglio di languide lontane memorie, lascia spazio al dirompente e caustico black humor di Willy Clark (Franco Branciaroli, magistrale interprete e regista teatrale italiano), un attempato attore di varietà, ancora bramoso di calcare le scene a dispetto dell'età e della ritirata sopraggiunta contro il suo volere. A sorreggere il mattatore, accompagnandolo nel restio percorso lungo il viale del tramonto, un premuroso nipote/manager, l'esilarante Flavio Francucci, che lo accudisce procurandogli proprio quello di cui dovrebbe fare a meno: sigari, cibo sano inscatolato privo di qualunque forma di amorevole preparazione, un periodico-settimanale da cui estrapolare ossessivamente i nominativi dei suoi ex colleghi e personaggi di spicco dello star system che via via dipartono per anzianità e, infine, piccoli ingaggi televisivi dai quali il veterano riesce sistematicamente a farsi estromettere per totale incapacità adattiva. Si profila intanto una provvidenziale opportunità per Willy, ancora voglioso di recitare, che riporterebbe in scena, di fronte al grande pubblico, uno spettacolo rievocativo del vaudeville, sponsorizzato da un importante network televisivo che vorrebbe la reunion del duo "I ragazzi irresistibili" (film del 1975 diretto da Herbert Ross, basato sulla commedia The Sunshine Boys di Neil Simon del 1972 ispirata alla vita di una vera coppia di artisti del vaudeville, Joe Smith e Charles Dale) per riproporre il famoso "sketch del dottore". Così, l'insostituibile amata e odiata "spalla" Al Lewis, Umberto Orsini attore di inestimabile valore e mirabile contraltare in scena, tornerà nella vita del collega e amico/nemico da cui si era arbitrariamente allontanato da oramai undici anni. La coppia si specchia su se stessa con un rifrangersi virtuoso sul fronte interpretativo e nel risvolto umano. Emerge la sopraffina sagacia psicologica dei protagonisti e dell'intero cast, grazie alla quale l'incalzante serie di boutades e freddure, mutuate dai dialoghi originali e corredata da tempi scenici perfettamente sincronizzati unitamente ad una singolare capacità recitativa, appare magistralmente inedita. L'allusione ben calibrata alle tematiche esistenziali beckettiane e al lirismo di cui è intrisa la poetica cechoviana, supportata dalla credibilità esegetica e da un accento di regia (Massimo Popolizio) sapientemente modulato, fanno della pièce una rappresentazione godibilissima. Consigliato! La presente recensione si riferisce alla rappresentazione del 9 novembre 2024 |
di Neil Simon
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