Tratto dall’ultimo capitolo della pentalogia di Antonio Scurati, il reading affida a Luca Marinelli il gravoso compito di incarnare il protagonista negli anni del crepuscolo, dal 1943 al 1945, che coincideranno con la parabola discendente del personaggio e della corrente storica di cui fu leader massimo, passando attraverso la deposizione avvenuta il 28 luglio 1943, proseguendo con la sua detenzione a Ponza, la liberazione da parte dei paracadutisti tedeschi e la creazione della Repubblica Sociale Italiana, fino alla sua morte e flagellazione il 28 aprile 1945. Scurati adotta un altorilievo descrittivo che fonde elementi romanzeschi con una rigorosa documentazione storica offrendo una narrazione che, pur mantenendo l'accuratezza dei fatti, riesce a coinvolgere emotivamente il lettore. Il focus della pièce si concentra su quegli anni e quei luoghi, teatro di una guerra civile feroce in quella metropoli che il Duce elesse come cuore emblematico e operativo del suo dispotismo, origine, potere, modernità e, infine, disfatta. Una città iconica, capitale morale e politica del nuovo stato fantoccio sostenuto dai nazisti, specchio del suo sogno totalitario e della sua tragica fine, dove la violenza si manifesta attraverso le azioni della legione Muti, della banda Koch e dei gappisti, in un clima di terrore e resistenza. M. aveva un rapporto profondo con il capoluogo meneghino sin dagli anni della sua giovinezza politica. Fu proprio lì che, nel 1914, fondò il giornale Il Popolo d’Italia, strumento fondamentale per la propaganda interventista prima e fascista poi. Era una città industriale, moderna, dinamica, la più europea d’Italia un luogo ideale per lanciare il suo movimento. Il 23 marzo 1919, in Piazza San Sepolcro, M. fondò i Fasci di combattimento. È da lì che il movimento muove i suoi primi passi. Questo suggella un legame politico e simbolico con la città: Milano è la culla del fascismo. Durante la Repubblica Sociale Italiana, la metropoli diventa il centro amministrativo ed economico. M. vi si trasferisce e ne fa il suo quartier generale, anche se formalmente la capitale della RSI era Salò, ma nella pratica, il potere, la finanza, le industrie e le relazioni politiche si concentravano nel capoluogo lombardo. Ed è a Milano che M. vede avvicinarsi la fine, sempre lì che crescerà la Resistenza, che esploderanno le contraddizioni, le violenze e i tradimenti, da lì che, nel tentativo disperato di fuga verso la Svizzera, partirà il 25 aprile 1945 (giorno dell'Insurrezione di Milano) dopo un incontro con il cardinale Ildefonso Schuster, nella sede dell'arcivescovado, che era pronto a mediare con gli alti gradi partigiani. Il suo corpo verrà esposto e vilipeso in Piazzale Loreto il 28 aprile: lo stesso luogo dove, meno di un anno prima, erano stati fucilati dai fascisti 15 partigiani. Un cerchio elicoidale che evolve in modo drammatico. Marinelli dà vita a un M. stratificato, attraversato da umanità e sgomento, forza e disfatta. Il romanzo risulta un elaborato di rara profondità psicologica, che restituisce un dittatore allo stesso tempo onnipotente e disperatamente solo. Barbara Chichiarelli offre una marca incisiva di Margherita Sarfatti, intellettuale e figura chiave nella costruzione dell’immagine pubblica del Duce. La sua presenza in scena è calibrata, autorevole, mai secondaria. Al suo fianco, Francesco Russo veste i panni di un Cesare Rossi in bilico tra fedeltà ideologica e resa morale, completando un trittico attoriale discreto e impattante. La regia di Gasparro è asciutta, essenziale ed estremamente evocativa. Rinuncia all’ eccesso visivo per concentrarsi su corpi, voci e silenzi. Il tutto sostenuto da una drammaturgia sonora raffinata e contemporanea: le musiche dal vivo di Rodrigo D’Erasmo e Mario Conte amplificano la tensione e la profondità emotiva, trasformandosi in controcanto suggestivo. Una rielaborazione drammaturgica calzante e necessaria. Una riflessione paradigmatica sul potere e le sue implicazioni, sulla responsabilità e sulla memoria che, oggi più che mai, trova nel teatro un veicolo fondamentale. Un'esecuzione scenica che non consola, non postula ma interroga e che, per questo, merita di essere vista, discussa, celebrata. Commozione strozzata e consapevole, Standig ovation a chiosare. Milano, in seno allo Strehler. La presente recensione si riferisce allo spettacolo del 24 aprile 2025 |
M. La fine e il principio
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