Un secolo di vita quello narrato dalla splendida voce maestra di uno degli ultimi giganti del cinema e del teatro italiano. Umberto Orsini (Premio Hystrio 1995, Premio Europa, Premio Ubu 1989 per "Affabulazione" di Pier Paolo Pasolini, Premio Ubu 2000 per "Il nipote di Wittgenstein" e "L'arte della commedia", Premio Le Maschere del Teatro Italiano 2016 per "Il prezzo" di Arthur Miller, Premio Flaiano per il teatro per l'interpretazione in "Servo di scena" di Ronald Harwood, Premio Ubu 2022 alla carriera) attraverso la prosa di Giovanni Testori (Novate Milanese, 12 maggio 1923 –Milano, 16 marzo 1993), di cui con questa pièce onoriamo il centenario dalla nascita, con il valido coadiuvo di Giovanni Agosti, storico dell'arte e critico d'arte, curatore della pubblicazione dal titolo "Luchino", rende omaggio al grande Visconti (Milano, 2 novembre 1906 – Roma, 17 marzo 1976), figura di spicco del '900, nobile, regista, sceneggiatore e partigiano italiano. Sei capitoli quelli messi in scena dinanzi ad un leggio, un grande display proiettante e due sedie, di cui una da regista, che parlano di storia, arte, costume, legami psicologici e controversie attraverso l'universo luchiniano. Una matriosca perfetta la si potrebbe definire, quella di uomo-grande attore che menziona un uomo-grande regista che è stato raccontato da un uomo-scrittore, giornalista, poeta, critico d'arte e letterario, drammaturgo, sceneggiatore, regista teatrale e pittore italiano che è supportato sul palco da uomo-storico dell'arte e critico d'arte italiano. Parlare di Luchino Visconti (Festival di Cannes 1963: Palma d'oro con "Il Gattopardo" Festival di Cannes 1971: Premio del 25º anniversario con "Morte a Venezia"; Mostra del Cinema di Venezia 1965: Leone d'oro con" Vaghe stelle dell'Orsa"; Mostra del Cinema di Venezia 1957: Leone d'argento con "Le notti bianche"; Mostra del Cinema di Venezia 1948: Premio internazionale per valori stilistici e corali con "La terra trema"; Mostra del Cinema di Venezia 1960: Leone d'argento con "Rocco e i suoi fratelli"; David di Donatello 1971: miglior regista con "Morte a Venezia"; David di Donatello 1973: miglior regista – miglior film con"Ludwig"; David di Donatello 1975: miglior film con "Gruppo di famiglia in un interno"; Nastro d'argento 1961: miglior regista e migliore sceneggiatura con "Rocco e i suoi fratelli"; Nastro d'Argento 1970: miglior regista con "La caduta degli dei"; Nastro d'Argento 1972: miglior regista con "Morte a Venezia"; Nastro d'Argento 1975: miglior regista con "Gruppo di famiglia in un interno"; Globo d'oro 1961: miglior film con "Rocco e i suoi fratelli"; Globo d'oro 1971: miglior film con"Morte a Venezia"; Grolla d'oro 1958: miglior regista con "Le notti bianche"; Grolla d'oro 1961: miglior regista con "Rocco e i suoi fratelli"; Premio Oscar 1970: nomination alla migliore sceneggiatura originale con "La caduta degli dei"; Premio BAFTA 1972: candidatura alla miglior regia con "Morte a Venezia"; Accademia dei Lincei 1963: Premio Feltrinelli per la regia cinematografica) vuol dire parlare del nostro passato prossimo, di un personaggio poliedrico che combattè senza paura battaglie sociali (anche nei tribunali che intendevano censurare) e di costume perchè attraverso l'arte venisse plasmata e modificata la genesi del pensiero collettivo: parliamo di neorealismo, edonismo, decadenza, maniacalità di sfarzo. La stacanovista regionalità lombarda è il leitmotiv del racconto, così come le dimore ed i sontuosi abbondantissimi arredi, i dipinti inneggianti a certa zoofilia, la ricerca famelica dell'inosservato. Le figure di riferimento amate e adorate, come quelle della madre Carla Erba citata attraverso una foto ritratto la cui dipartita lasciò un enorme vuoto in lui. Osservando attentamente le immagini proiettate si capisce che la festa finale del “Gattopardo" viene proprio da lì, i saloni milanesi son forse ben più imponenti di quelli siciliani. Di quel ballo, Visconti ne aveva inizialmente montata una versione di quattro ore. Egli era onestamente convinto che il suo mondo fosse finito e che fosse giusto così. Un universo più equo sarebbe nato in futuro ed il suo, patinato e tirato a lucido, voleva finisse con stile, in attesa di una ghigliottina mai arrivata. Intanto i set si confondono con le case, da villa Erba a Cernobbio, a Roma. Palesemente Testori parla di se stesso attraverso l'amico, quello tanto amato stimato e poi perduto per via di una banale borghese disputa professionale-amorosa. Chiosa come in apertura il suono delle campane in lontananza a suggellare un malinconico dipinto impressionista, sfocato dalla bruma di rapide pennellate di memoria vissuta e tramandata. Performance artistica di altissimo livello promulgativo ed elegiaco. La presente recensione si riferisce alla rappresentazione del 15 aprile 2023 |
Umberto Orsini legge pagine della biografia ritrovata ed edita da Feltrinelli
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