Roma, 30 Maggio 2014 - Init
Foto a corredo della recensione di Paolo Carnelli.
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Roma, 30 Maggio 2014 - INIT
Probabilmente una delle serate più interessanti degli ultimi 5 anni, quella organizzata all’Init di Roma, il 30 maggio scorso. Aprono gli Ingranaggi della Valle band romana che io non ho esitato a definire gli Ezra Winston degli anni 2000 (ne ho parlato qui, recensendo il loro esordio In Hoc Signo, edito dalla Black Widow alla fine dello scorso anno), se non nel merito – giacché la proposta musicale è assai diversa, pur essendo confinata negli ampi spazi del genere progressive – quantomeno in termini di peso specifico. In questa sede non posso che confermare quanto in precedenza già detto: questa esordiente formazione si rende autrice di una proposta musicale che risulta estremamente competitiva, non solo in ambito New Prog, ma anche, e addirittura, in contesti più squisitamente Prog, alludendo, con questo, a tutta la compagine di settantiana memoria, italiana ed estera. Nutrivo qualche riserva sulla resa live di questa band, dubitando che potesse realmente replicare la magia esternata nel citato album d’esordio, ma ho dovuto ricredermi. Una band di sette elementi perfettamente bilanciata, ponderata nelle esternazioni individuali, compatta in quelle collettive, ha saputo presentare con apparente disinvoltura 50 minuti di pura energia immaginifica. L’incantesimo sonoro già proposto da band come il Banco, la PFM e tutte le formazioni tipizzate da sonorità in bilico tra fantasia e mediterraneo, è rivissuto magicamente sul palco del locale con un gruppo che non stupisce soltanto per la sua validissima proposta musicale – verso la quale ci approcciamo con immutati entusiasmo ed interesse, giorno dopo giorno – ma anche per la giovane età dei singoli membri che ne fanno parte (in media, non superiore ai venticinque anni). Non c’è da meravigliarsi, quindi (e ci limitiamo a soli tre brani per non rubare spazio anche alle altre meritevoli formazioni), se il pezzo d’apertura, “Cavalcata”, assume il potenziale di un classico come R.I.P.; oppure se “Jangala Mem” spazia dalle risonanze angoscianti di stampo gobliniano alle derivazioni peninsulari della migliore PFM; o, ancora, se “Fuga da Amman” allude a scenari di terre collocate a levante richiamando, nel solo di chitarra, la lezione di un Allan Holdsworth perfettamente contestualizzato. Insomma, stramerita questo gruppo che, composto da ragazzi, pare invece messo su da professionisti navigati, estremamente preparati, incredibilmente motivati.
Cambiano totalmente le sonorità con la seconda band, Not a Good Sign, proveniente da Milano, un “supergruppo” a tutti gli effetti giacché vi militano membri di alcune tra le più interessanti band del nuovo progressivo italiano (Yugen, Ske e La Coscienza di Zeno), con un album in attivo e un altro la cui pubblicazione è prevista per i primi del 2015. Il suono algido e nevrotico di crimsoniana memoria, peraltro valorizzato da un rifferama estremamente energico, spazza via in un istante la calda destrezza mediterranea del gruppo precedente, impattando violentemente con un pubblico spaesato, a tratti disorientato. La voce altissima e tersa di Alessio Calandriello rende ancora più estremo il discorso che viene portato quasi ai limiti della dissonanza, con un costrutto (anti) melodico che volutamente appare aspro e disarmonico, ancorché lontano dall’essere povero o gratuitamente denigrante. E’ il solo tastierista a ricordare ai presenti il concetto che sta alla base del comune senso della melodia con proposte sonore che trovano la radice negli anni ’70, da egli omaggiati anche strumentalmente con il ripescaggio sapiente dei tipici suoni dell'epoca. Appare subito evidente che questa band non solo nasce da un background estremamente consolidato, ma ostenta con orgoglio la sua sprezzante distanza dal commerciale, esigendo dal suo pubblico, con fiera caparbietà, un ascolto attento e diligente. E’ quello che facciamo tutti, prima smarriti poi, immediatamente destati, con incanto e stupefazione, certamente ammaestrati dal nuovo sound. Questa band suona come se Tony Banks fosse membro stabile dei King Crimson degli anni ’80: da un lato un tastierista che rivela melodie caratterizzate da elegante senso compiuto, lineari, avvolgenti, catalizzanti, dall’altro un chitarrista che allontana implacabilmente le coordinate verso terre aspre e inospitali, richiamando le tensioni tipiche del Fripp più nevrotico e crepuscolare, supportato da un cantante che omaggia devotamente il medesimo chitarrista piuttosto che i cantanti che si sono avvicendati nella sua band. In un siffatto contesto, la sezione ritmica suona in maniera granitica, costruendo un tappeto cadenzato che, più che essere vicino alla compagine tipica della band progressiva, pare incarnare il concetto di macchina industriale nel pieno dell’attività produttiva.
Siamo immersi in una serata che continua ad apparire tanto inusuale quanto interessante, per le sue pieghe miracolose, per i suoi risvolti sorprendenti, per i suoi inaspettati colpi di scena. Questa magia è alfine nobilitata dall’arrivo degli attesissimi Wobbler, band norvegese nota per aver omaggiato la lezione impartita dalle omologhe bands svedesi e norvegesi degli anni ’90, ricreando espressioni musicali estremamente complesse ed articolate, valorizzate dall’uso di strumenti rigorosamente vintage. Autore di tre album (Hinterland del 2005, Afterglow del 2009, Rites at Dawn del 2011), ad un primo ascolto il gruppo sembra omaggare i migliori Änglagård, dai quali riprende, pressoché intatto, il coraggioso ed inusuale modus pensandi di base, ispirato al concetto di progressive puro ed incontaminato, valorizzato tanto dall’uso sapiente di strumenti quali mellotron, hammond, moog, quanto da interessanti ritmiche dispari nonché da fraseggi tastieristici e chitarristici di stampo antico, squisitamente seventies. La voce del cantante evoca magnificamente quella del più illustre Jon Anderson, del quale conserva la tersa lucidità, la cristallina limpidezza, l’attendibile luminostià espressiva. I norvegesi, assieme agli italiani che li hanno proceduti, incarnano senza dubbio la migliore espressività del nuovo prog internazionale, più vicino alla lezione impartita negli anni ’70, piuttosto che all’emulazione non sempre efficace degli anni ’80. I Wobbler presentano composizioni lunghe, complesse, articolate che confermano aspettative e speranze di un pubblico esigente, non certo facile da accontentare. Nei pezzi proposti (6 tratti dalla loro discografia, più un pezzo nuovo, ancorché senza titolo), è racchiusa tutta la storia del progressive, principalmente anglosassone (giacchè manifesti sono le citazioni di perle storiche elargite da King Crimson, Genesis e, seppur in lieve misura, Van Der Graaf Generator), ma anche italiano (fa spesso capolino la lezione impartita dalla onnipresente PFM) e, non meno doverosamente, svedese (il richiamo agli storici Trettioåriga Kriget è oltremodo evidente). E alla fine del concerto, viene spontaneo riflettere che, piuttosto che capaci di emulare i quasi connazionali Änglagård – giudizio che solo i superficiali sarebbero capaci di produrre – i Wobbler possono essere descritti quale band perfettamente in grado di contestualizzare in maniera del tutto personale tutte le band fin qui citate, cosa che li rende, senza ombra di dubbio, dotati di grande personalità interiore, consci di cesellare un suono che non soltanto risulta devoto ad un epoca mai tramontata, ma appare anche fortemente innovativo, catalizzante di umori e sensazioni che soltanto agli albori del nuovo millennio possono essere prodotti.
La serata è finita e viene spontaneo dire “io c’ero”, espressione comune che allude tanto alla fortuna di aver ammirato una band che certamente non capiterà di rivedere a breve, stante la lontana collocazione geografica che la contraddistingue, quanto al valore intrinseco di una performance che ha il sapore accattivante della gemma rara, tanta è stata l’abilità di saper intrattenere, generando piacere, gusto e osmosi tra musicisti e pubblico.
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Data: 30/05/2014 Luogo: Roma - INIT Genere: Progressive Rock
WOBBLER Andreas Prestmo - lead vocals Lars Fredrik Frøislie - keyboards Kristian Karl Hultgren - bass guitar Martin Kneppen - drums, crum horn and recorder Geir Marius Bergom Halleland - guitar
SETLIST: Imperial winter white A faeire’s play Rubato industry This past presence Unreleased song In orbit
NOT A GOOD SIGN Alessio Calandriello - voce Alessandro Cassani - basso Paolo "Ske" Botta - tastiere Martino Malacrida - batteria Francesco Zago - chitarra
SETLIST: Not a Good Sign Flow On Not Now Making Stills Open Window The Deafening Sound of the Moon Coming Back Home
INGRANAGGI DELLA VALLE Igor Leone - voce Shanti Colucci - batteria, nagara, konnokol Marco Bruno - basso Mattia Liberati - tastiere Flavio Gonnellini - chitarra Marco Gennarini - violino Alessandro Di Sciullo - chitarre, mellotron, basso a pedale Alessandro Di Maio - fonia
SETLIST: Cavalcata Mare In Tempesta Fuga Da Amman Kairuv'an Musqat Jangala Mem Il Vento Del Tempo Los Endos
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