Ciò che gli Ezra Winston hanno rappresentato per il progressive italico degli anni '80, gli Ingranaggi della Valle lo incarnano negli anni '10 del secolo odierno (assieme agli altrettanti validi, anche se diversissimi, Former Life).
Questa esordiente formazione produce un debutto che non esito a definire eccezionale, certo di non esagerare affatto. L'opera, non solo può vantare ben pochi rivali in ambito New Prog (con ciò, alludendo a tutta la produzione del genere, dalla fine degli anni '80 ai giorni d'oggi, ammesso che abbia ancora senso parlare di New Prog negli anni 2000), ma compete addirittura, ed incredibilmente, con moltissimi classici progressivi degli anni '70, italiani e non. Va subito chiarito che la band suona come se il Mauro Pagani violinista avesse militato nel Banco del Mutuo Soccorso, con il prevedibile risultato che il combo riesce a creare una miscela efficace in cui sono magnificamente evocati due stili molto diversi tra loro, pur perfettamente contestualizzati. “Cavalcata”, il brano che apre il lavoro, è emblematica in tal senso talché può essere certamente indicata quale omologa di R.I.P., pur evolvendosi in maniera imprevedibile, con incursioni di stampo squisitamente fusion, molto simili a talune cose che i già citati Ezra Winston hanno sperimentato nel secondo album, con le loro sporadiche ma efficaci sortite nello specifico genere. Tuttavia, esemplificare la proposta musicale ricorrendo alla citata commistione virtuale (Banco + PFM) sarebbe veramente ingeneroso nei confronti di questo sestetto romano che, infatti, in possesso di un background talmente consolidato, si può permettere il lusso di: - incedere in efficaci ambientazioni orientaleggianti (“Fuga da Amman”) sovrapponendovi coraggiosamente un assolo di chitarra elettrica che ricorda la magia criptica dell'Allan Holdsworth più ispirato (pathos e pattern poi reiterati, con immutato successo, anche ne “Il Vento del Tempo”) e concludere con protagonismi tastieristici che hanno la capacità di evocare, in un sol colpo, il magnetismo coinvolgente di due gruppi distantissimi come i Brand X e nientemeno che gli Area (questi ultimi citati brevemente anche in apertura del brano); - proporre ambientazioni inquietanti di stampo gobliniano (“Jangala Mem”), facendole evolvere in atmosfere che propongono, ancora una volta, inedite commistioni di genere, stavolta concretizzabili come se il già citato folletto romano e l'onnipresente Banco avessero anch'essi unito le forze in un unico sforzo di intenti; - bilanciare la liquidità floydiana con l'intimismo ermetico del progressive francese (“Via Egnatia”), facendo poi evolvere il discorso in criptiche esasperazioni, anche vocali, vicine a talune sperimentazioni tanto care ai Genesis di The Lamb o ai Gentle Giant più macchinosi, trovando anche il tempo di citare, per la seconda volta, i già menzionati Ezra Winston (omaggiati anche nella successiva “Mare in Tempesta”); - tributare doverosamente il cantato di Francesco DI Giacomo (ne “L'Assedio di Antiochia”), con un costrutto vocale che richiama alla memoria la perfezione stilistica profusa in Io sono nato libero, rinnegata subitamente dalle musiche inaspettatamente dinamiche, proprie della compagine progressiva transoceanica (tipica di bands quali Echolyn e Spock's Beard). Tuttavia, ho voluto giocare con i dati anagrafici dei nostri, giacché sulla rete ho letto diverse castronerie memorabili da parte di alcuni critici che, mettendo in relazione la musica di questo gruppo con la loro età, hanno condizionato il giudizio finale sull'opera, limitandolo a livelli dignitosi, ma non ottimi. Come se fosse impossibile, per dei giovanissimi, partorire un lavoro di elevato spessore. Orbene, ci sono riusciti i citati Former Life, due anni fa, ce l'hanno fatta oggi anche gli Ingranaggi della Valle. Non date ascolto a coloro che esprimono giudizi affrettati su un'opera che - invece di assimilare ponderatamente e reiteratamente, come dovrebbero fare, vista la complessità della proposta - si limitano ad ascoltare una sola volta, in maniera frettolosa e superficiale. Sono gli stessi soggetti scarsamente dotati di neuroni che imbattendosi nelle incursioni del gruppo nella fusion, parlano di jazz con un tono di spocchiosa presunzione (dimostrando, così facendo, di non conoscere, neanche sommariamente, né l'uno, né l'altro genere musicale); che giudicano il lavoro troppo “vandergrafiano” sol perché David Jackson è della partita; che, gridando allo scandalo, ritenendo plagio una semplice (e doverosa) citazione. Questo è il disco prog che tutti noi abbiamo atteso invano per anni, riversando aspettative, poi immancabilmente tradite, sui deludenti lavori discografici post '70 dei grandi nomi del passato (vengono in mente, tra gli altri, Calling All Stations dei Genesiss, Open Your Eyes degli Yes, Black Moon degli Elp, Ulisse della PFM, Il 13 del Banco, giusto per citarne una manciata). Le sto sparando grosse, vero? Pensatela come volete! Io mi limito ad affermare, convintissimo, che, parlando degli Ingranaggi, ci troviamo catapultati nel gotha del moderno progressive (assieme a band quali Anglagard, Ezra Winston, Spock's Beard, Anekdoten, Porcupine Tree, Former Life, Echolyn). E tante grazie anche alla Black Widow, per aver sovvenzionato le registrazioni dell'album, permettendo a questi ragazzi di palesarsi in tutto il loro potenziale talento. Voto finale che rasenta il massimo. 97/100 |
Igor Leone: Voce Anno: 2013 |