Ottima musica, in questa seconda fatica discografica (e non avevamo dubbi), ma completamente diversa da quella che componeva l'apprezzatissimo disco d'esordio (lo abbiamo recensito in termini eccelsi qui). Gli Ingranaggi della Valle abbandonano la tradizione progressiva italica - magistralmente celebrata nel primo album con omaggi ripetuti e coerenti alla Premiata Forneria Marconi e al Banco del Mutuo Soccorso - e volgono lo sguardo alla scena internazionale, segnatamente del nord Europa. Ed infatti, quasi fossero un altro gruppo, i Nostri paiono premiare le ascendenze della scuola svedese e norvegese degli anni '90: Anglagard, Anekdoten e Wobbler, giusto per citarne una manciata, sembrano qui ostinatamente ed efficacemente celebrati, puntualmente richiamati in almeno 2/3 del lavoro tutto, non mancando, l'organico, seppur molto più sporadicamente, di citare i King Crimson più impenetrabili, non necessariamente dei soli anni '70. E, giusto per spiazzare ben bene l'ascoltatore, non soltanto la chitarra omette di richiamare l'Allan Holdsworth più liquido (altra attenzione riservata nel primo lavoro), ma risulta castrata delle sue attitudini solistiche, più protesa al lavoro ritmico e sonoro, al servizio di una più elevata esigenza collettiva. Peraltro, se escludiamo le profusioni di tastiere e violino, unici due strumenti che si palesano in termini di maggiore protagonismo, anche tutti gli altri, voce inclusa (elevatissime, peraltro, le qualità del nuovo singer), si comportano analogamente, quasi fossero fagocitati da un maelstrom sonoro di stampo inquietante e magnetico, oppure, ancora più frequentemente, inseriti in un largo e ben piantato sottobosco musicale, piegati ad una causa suprema di valore intrinseco certamente superiore alla somma dei singoli contributi. La svolta musicale non è soltanto trasversale e distopica rispetto al citato esordio, ma anche radicale e granitica, talché la nuova direzione è impermeabile addirittura alle ascendenze esercitate da illustri e storici personaggi della tradizione progressiva italiana, come il gobliniano Fabio Pignatelli, presentato alla band dai tipi della Black Widow (che suona nel brano di apertura, "Call for Cthulhu: Orison"), e Paolo Lucini degli indimenticati Ezra Winston (flauto in "Call for Cthulhu: Promise"), conosciuto nel corso delle registrazioni del nuovo album degli Anno Mundi (ensemble romano che vanta in organico due membri degli Ingranaggi della Valle). Entrambi costoro forniscono un apporto validissimo ma - ed è la prima volta che ci capita di riscontrarlo - completamente avulso dal loro passato, del quale sembrano spogliarsi, tale e tanta è l'autorità con cui i valligiani sembrano volersi imporre. In tal senso, fa riflettere che, nel recensire In Hoc Signo, chi scrive riscontrò le ambientazioni tipiche dei Goblin d'annata in “Jangala Mem” e le influenze esercitate dagli Ezra Winston in "Cavalcata" e “Mare in Tempesta”. Tutto ciò, incredibilmente, in assenza dei due ospiti appena citati (piace pensare che la loro presenza in questo nuovo disco sia il frutto delle ascendenze esercitate da chi firmò la profetica recensione anzidetta, cioè il sottoscritto). In conclusione, il lettore sembra spinto a sentenziare "premiato il coraggio ma non il risultato finale". E invece no!: il disco ha un suo fascino innegabile pur nelle sue difficili, ostiche, mai lineari fruibilità e attitudine, che permette all'ascoltatore di esprimere apprezzamenti elevatissimi, ma soltanto dopo svariati e attenti ascolti, al pari delle opere tipiche del prog d'annata più ostico, come quello dei Van Der Graaf Generator più plumbei e dei King Crimson più nevrotici. Ne consegue, i più attenti lo avranno capito, che i nuovi Ingranaggi della Valle, diretti ormai alla volta della musica suprema, sono capaci di regalare soddisfazioni massime a ben pochi eletti, e comunque in maniera sofferta, come solo una manciata di grandi musicisti seppero fare in passato, perdendo certamente in popolarità, ma acquistando stima e considerazione massime. |
Davide Noè Savarese: Vocals Guest: Anno: 2016
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