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Wobbler
From Silence To Somewhere


Doppia recensione per "From Silence to Somewhere - Wobbler" Wobbler non la mandano certo a dire.
Il loro quarto album è l'ennesima conferma, nel caso avessero ancora bisogno di confermare qualcosa a qualcuno.
Creativi, eclettici, vulcanici, i Signori svedesi confezionano un masterpiece che ha la particolarità di suonare prog al 100%, senza se e senza ma, evocando principalmente la lezione dei maestri nord europei del genere e, nell'ultimo brano, anche di quelli anglosassoni, con particolare riferimento al romanticismo del primi Genesis - evocato non soltanto dalla presenza del flauto - siringato, ovviamente, della formula che già Änglagård (con riferimento alla invidiabile struttura dei brani) e Anekdoten (a livello vocale), ebbero modo di esternare nel corso dei primi anni '90.
Copertina a parte, questo disco è un must, non soltanto nella sostanza - per i motivi sopra enunciati - ma anche nella forma, considerato che si compone di tre lunghissime suite (più un breve intermezzo strumentale), che in totale non superano i 45 minuti di musica, esattamente come ai vecchi tempi.

Gianluca Livi


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Cloni di…? Copiano da…? Si rifanno decisamente a…? (nel più fortunato dei casi…). Ormai la quasi totalità delle prog band sono “condannate” da giudizi (talvolta quantomeno affrettati) volti a sminuirne la qualità musicale ( come se gli altri generi, fossero sempre innovativi…). A tali, affrettati, pareri non sono certo esentati i norvegesi Wobbler che, con “From silence to somewhere” giungono al quarto album in studio. Da sempre attratti da sonorità vintage (e con strumentazione adeguata) e, malgrado chiaramente ispirati da band come Yes, Gentle Giant, Genesis, hanno saputo comunque creare un sound affascinante, di grande valore e “tipicamente” Wobbler.
Il nuovo lavoro è diviso in quattro tracce per poco più di quarantacinque minuti di durata che, se da un lato evita probabili lungaggini, dall’altro ci priva di qualche brano in più di probabile pari valore. Ci accontentiamo oltremodo perché le tre composizioni più articolate (la title track che sfiora i ventuno minuti, “Fermented hours” di dieci e “Foxlight più di tredici) ci offrono una band in gran forma ed ispirato (almeno) come il precedente “Rites at dawn”.
Suoni caldi e pastosi, uno stuolo di strumenti d’annata (hammond, mellotron, minimoog, chamberlin…), un basso “corposo” e ben presente, le cesellature della chitarra elettrica, i contorni offerti dalla 12 corde, un vocalist espressivo, una batteria piuttosto creativa… Caratteristiche secondarie? Un suono ampiamente sfruttato negli anni? Ma il progressive=innovazione? Prendiamo nota di tutto…ed andiamo avanti…
La suite "From silence to somewhere" è incantevole: composizione di estrema naturalezza in cui i musicisti creano un tessuto sonoro con assoluta perizia. Non mancano “solos” importanti, ma la qualità principale è data dall’alchimia raggiunta dai cinque Wobbler che, tra uno sprazzo sinfonico, un “allure" folk offerto da flauto e clarinetto e momenti di “caos organizzato”, lasciano esterrefatti per la molteplicità delle soluzioni proposte. Un suono anche oscuro e misterioso, autunnale ed introspettivo, ma con sgargianti esplosioni “primaverili” che, di tanto in tanto, colorano a tinte vivaci il brano. Un viaggio…un grande viaggio…appena iniziato. Sempre "già sentito?". Riprendiamo nota. E procediamo oltre.
Il secondo pezzo, “Rendered in shades of green” è un breve intermezzo per archi e piano, mentre la successiva “Fermented hours” è un altro “carico” calato dalla band norvegese. Ma facciamo un passo indietro e soffermiamoci brevemente sul fil-rouge che lega le liriche dell’album: testi ispirati alle metamorfosi, all’alchimia, al pensiero rinascimentale ed alla crescita psicologica e di consapevolezza di sé dell’"essere" che proprio in “Fermented hours” hanno sviluppo ulteriore. Nel brano, infatti, sono citati estratti dall”Indovinello Veronese (il presunto più antico testo in volgare italiano) e della “Teseida” di Boccaccio che può essere interpretato anche come un omaggio al progressive italiano degli anni che furono. Tornando al brano, l’introduzione trae chiara ispirazione dagli Yes di “Relayer” (“Sound chaser”?) con una sezione ritmica granitica. Il brano si fa poi più delicato in cui emerge la voce di Andreas Wettergreen Strømman Prestmo. Un lento crescendo, su un tappeto di tastiere, ad accompagnare ancora il vocalist, un gran lavoro di Hultgren (basso) e Kneppen (batteria) ed il brano volge al termine in un turbinio di note e colori.
Anche nella quarta traccia “Foxlight” la band si “abbevera” a quella fontana (inesauribile?) che già dissetò molti gruppi dei seventies e che dispensa frutti generosi pure oggi. Stavolta l’inizio è sussurrato, chitarre acustiche, flauto, tastiere appena accennate. Solo intorno al quarto minuto il brano sale d’intensità con le tastiere di Frøisle a sbizzarrirsi a più riprese, malgrado gli interventi del flauto (che ogni tanto fa capolino) a cui si accoda la 12 corde di Halleland (il nuovo chitarrista), forniscano momenti di pausa apparente. Il finale, una sorta di folk-sinfonico, con un bel guitar-solo, è degno della bellezza del brano e dell’intero album.From silence to somewhere si candida, per quel che mi riguarda, ad album del 2017. I detrattori non mancheranno, certamente. Ma C’est la vie!!, e non cambieremo certamente parere.

Valentino Butti



Lars Fredrik Frøislie: tastiere, cori
Kristian Karl Hultgren: basso, clarinetto basso, bass pedals
Martin Nordrum Kneppen: batteria, percussioni, recorder
Andreas Wettergreen Strømman Prestmo: voce, chitarra, percussioni
Geir Marius Bergom Halleland: chitarra, cori

Anno: 2017
Label: Karisma Records
Genere: Progressive Rock

Tracklist:
01. From Silence to Somewhere
02. Rendered in Shades of Green
03. Fermented Hours
04. Foxlight

 

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