Con solo sei inediti Patrick riesce ad affrontare tre/quattro stili diversi, dalle trame oscure di “Bitten” al barocchismo di “Time of Year”, dalla raffinatezza austera di “Jerusalem” ai beat ossessivi di “Nemoralia” e “Pelicans”. L’incipitaria “Bitten” lavora magnificamente sull’arrangiamento: gli archi disegnano paesaggi malinconici, il theremin incupisce l’atmosfera con un pulviscolo sonoro denso, i beat elettronici cadenzano gelidamente il tutto, lasciando al pianoforte il compito di dare un po’ di calore con contrappunti minimali.
Le linee melodiche si staccano dalla forma pop di Lupercalia, perfetta ed illuminata quanto riduttiva per un artista come Patrick, e si lasciano andare all’espressività pura, rinunciando alle forme snelle ed accattivanti per puntare tutto sui timbri, sul valore delle parole in sé, piuttosto che sulla riconoscibilità delle melodie, caposaldo della filosofia di Lupercalia.
Il momento più interessante, insieme a questo straordinario incipit, è dato dall’accoppiata “Nemoralia” – “Pelicans”: Patrick Wolf ha ascoltato James Blake e ne ha ricavato un insegnamento. Beat elettronici lenti, ossessivi, alienanti, si sovrappongono l’uno all’altro, creando il paesaggio sintetico in cui si ambientano i vocalizzi del musicista londinese, che al contrario fanno dell’umanità disperata la loro cifra precipua.
Il contrasto è devastante. “Nemoralia” costruisce un caos perfettamente ordinato, in cui la ritmica sintetica si intreccia al vagare erratico degli strumenti tradizionali (tra i quali un meraviglioso sassofono), sul quale si staglia maestoso il canto liberissimo e fluttuante di Wolf. La strutturazione del brano è massimamente libera, segue le linee intricatissime dell’ispirazione pura e non ripiega mai su se stessa nel facile schematismo del pop, questa è Musica Totale.
Il titolo si ispira ad un'altra festa romana, quella delle torce, che veniva celebrata in Agosto e da cui Patrick ha tratto un parallelismo con le rivolte ed i disordini della scorsa estate a Londra. “Pelicans” viaggia in modo sinusoidale su pieni e vuoti sonori, riprende qualche coordinata di riconoscibilità e la ibrida nel trionfo della forma libera; pura divagazione, non esistono schemi mentali, solo il fluire dei pensieri che si esprimono direttamente nel canto e nelle pulsazioni elettroniche, con un tappeto di archi e fiati a fare da scenografia.
Oltre a questi tre enormi pezzi di bravura, troviamo un paio di buonissimi esempi di artigianato classico; “Jerusalem” ad un primo ascolto pare una semplice sonata al piano, ma in realtà rappresenta perfettamente la sensazioni dell’inverno alle porte; un tramonto amaro, sfregiato da un vento gelido e tagliente, eppure bellissimo, ancora più suggestivo appunto per la sensazione del gelo che avanza e lambisce i confini dell’anima. Il testo è preso da una poesia di William Blake che ben si riallaccia, in modo metaforico, al contrasto tra l’inverno, la neve ed il pensiero del Paradiso, un giardino in cui non fa mai freddo: “And was Jerusalem builded here, among these dark Satanic Mills?”. Ci vuole del talento per suscitare suggestioni così forti, così contraddittorie, dolorose eppure stupende. “Trust” al confronto sembra un mero esercizio di stile, quando in verità è l’ennesimo gioiello, che va ad arricchire lo scrigno di tesori che questo ragazzo sta allestendo anno dopo anno. L’arpa, suonata da Serafina Steer, è qualcosa di paradisiaco. Non ho usato l’aggettivo a caso: forse il brano, messo in chiusura, vuole indicarci che dopo ogni inverno c’è una primavera, che dopo ogni Inferno c’è un Paradiso? A voi la risposta. L’episodio minore è [b]“Time of Year”[/url]; l’arrangiamento per archi è anche gradevole, ma sono i fiati e gli ottoni che risultano quanto meno anacronistici e fuori dal coro, con il loro andamento allegro e spensierato. Poco male, costituiscono l’unico difetto di Brumalia.
L’inaspettato e non preannunciato EP riesce a fare meglio del tanto pubblicizzato Lupercalia; se quest’ultimo si accontentava delle forme del pop, per quanto illuminato fosse, questa nuova opera va a sondare territori inesplorati, scava nel profondo dell’anima, estrapola e traspone in musica emozioni e paure profonde, vaga nel cosmo della musica per trovare alchimie inedite, mostra tutta la grandezza di un artista capace di scuotere le nostre percezioni sia quando si sottomette alle regole, sia quando le trascende brutalmente, come in questo caso. Difficile criticare un simile personaggio, che all’età di 28 anni ha già scritto pagine importanti della storia della musica e ormai guarda dall’alto molti colleghi.
78/100
Patrick Wolf: Voce, chitarra e violino
Guest:
Serafina Steer: Arpa in Trust
Anno: 2011
Label: Mercury Records
Genere: Alternative Pop
Tracklist:
01. Bitten
02. Together
03. Time of Year
04. Jerusalem
05. Nemoralia
06. Pelicans
07. Trust