Milano, 2 Dicembre 2011 - Tunnel Club
Photo Courtesy: Alice Sorghi
Seduti sulle poche seggiole messe davanti al palco, si aveva l’impressione che il dolce Patrick fosse venuto a suonare nel salotto di casa, per farci un regalo, una sorpresa, per donarci una serata di gioia. In effetti un tour di questo tipo fa dell’intimità e del contatto con il pubblico i suoi punti di forza: messi da parte gli strumenti più rumorosi e sgraziati, Patrick Wolf si presenta a Milano in veste minimal, accompagnato dalla sola Victoria Sutherland, polistrumentista di gran classe. Gli strumenti utilizzati sono l’ukulele, il pianoforte, l’arpa ed il violino, più il dulcimer in un solo brano: un suono alleggerito e semplificato quindi, ma ciò non influisce minimamente sulla qualità delle esecuzioni. Anzi, semmai è il contrario: gli arrangiamenti snelli mettono in risalto la qualità intrinseca delle composizioni, la forza viscerale che muove le vibrazioni dell’ugola e dell’anima del buon Patrick. È stato un concerto che mi ha finalmente mostrato il Principe Randagio nelle sue vesti più nobili, lontano dalla baraonda inespressiva di Zurigo in cui, per dare sopra con la voce al caos della batteria, era costretto a gridare e quindi a tralasciare le mille sfumature melodiche che contraddistinguono le sue canzoni. Questa volta non è andata così: abbiamo visto il Patrick migliore, quello che tira fuori con la sua voce un arcobaleno di emozioni, che suona gli strumenti con la grazia cristallina di chi ama davvero la musica e dedica ad essa la vita perché è la musica ad avergliela salvata.
I brani mostrano la loro anima profonda in questo tipo di esecuzioni: preziosissimi intrecci di voce e pianoforte, meravigliosi accompagnamenti al violino (vedi “Pigeon Song”), poche intense note di arpa. È questo il Patrick che preferisco, quello più intimo, quello che mostra tutta la sua fragilità con sorrisi gentili ma dal retrogusto amaro, che rivolta e trasforma le canzoni a suo piacimento, perché sono il canto della sua anima e vengono riplasmate continuamente, a seconda del suo umore. Non è lui che esegue le canzoni seguendo uno spartito, sono i sentimenti e le emozioni dentro di lui che emanano l’essenza delle canzoni, perché queste sono state concepite e create da emozioni e sentimenti veri, che ritornano a solcare il suo viso ogniqualvolta le performi. Ho capito che le sue canzoni non sono stupende per quel dettaglio o per quell’altra patina elettronica: esse portano l’essenza di Patrick dentro di loro, sono espressione purissima di una personalità fragile, delicatissima e per questo immensamente bella. Basta l’attacco: “Wind In The Wires” suonata semplicemente con un ukulele, nient’altro, ed è stato subito un incanto, un’astrarsi dal mondo reale per entrare nel suo mondo. Questa osservazione è valida per tutti i brani suonati nella serata: riarrangiati in modo più scarno e minimale, hanno guadagnato in espressività, appunto perché il resto della strumentazione è in realtà un orpello, qualcosa di cui si può tranquillamente fare a meno, l’anima delle canzoni è Patrick, la sua voce e le sue mani che pizzicano le corde o accarezzano i tasti. Non ha bisogno di nient’altro. Da sottolineare come alcuni pezzi abbiano di molto cambiato fisionomia: “Damaris” (unico brano da The Bachelor del concerto, peccato) è trasfigurata in una dolente sonata per arpa e pianoforte, intrisa di una malinconia rarefatta, che lascia spazio ai silenzi della vita, ben lontana dall’inno tonante e magniloquente della versione in studio. Anche “The Falcons” cambia connotati: giochetto elettro-acustico su disco, assume in sede live un’austerità tutta nuova attraverso le dense note di piano ed il violino maestoso.
Com’era prevedibile la maggior parte dei brani eseguiti fa parte dell’ultimo disco, Lupercalia: i dubbi espressi sulla qualità del lavoro, buona ma non ai livelli di eccellenza a cui ci ha abituato Wolf, svaniscono completamente nella dimensione live. Anzi, è proprio la scelta di una strumentazione minimale a far emergere la bellezza grandiosa anche delle ultime produzioni, laddove le registrazioni su disco avevano mostrato scelte d’arrangiamento discutibili. Ma si sa, una cosa sono i dischi, un’altra sono i concerti: mi piace la magniloquenza dei suoi dischi, ma dal vivo si rischia di scadere nel caos indistinto (Zurigo docet) e quindi è preferibile un’architettura sonora più semplice, che valorizzi le strutture di fondo dei brani, soprattutto quando questi sono di così alto livello, come in questo caso. Altro disco da cui ha pescato molto è stato Wind In The Wires: scelta oculata se si considera il fatto che, al di là della patina elettronica facilmente rimovibile, i brani di quell’album si strutturano essenzialmente su arrangiamenti semplici, da cantautore – lupo solitario, e non a caso sono quelli che meglio inquadrano la sua anima più fragile e malinconica. Il riarrangiamento poteva fallire con “Tristan”, data la sua pesante sovrastruttura elettronica, ma così non è stato; le possenti note di pianoforte hanno reso alla perfezione la ritmica insistente e poderosa del pezzo, dando vita ad una delle reinterpretazioni migliori.
Tutti i brani sono eseguiti stupendamente, Patrick ha instaurato un bel rapporto con il pubblico, tra il giocoso e l’affettuoso: ad un certo punto per suonare “The Future” imbraccia un dulcimer appalachiano, ma qualcuno gli ha rubato il plettro. Allora, senza scomporsi, si rivolge al pubblico: “Qualcuno ha un plettro?”, arriva un ragazzo e gli consegna il suo, Patrick gli bacia la mano e gli dice “Ti amo!”. Insomma, s’è percepita la volontà di avere un contatto con i propri fan, è stato molto piacevole e simpatico. La cosa più clamorosa ed originale è avvenuta prima del concerto: eravamo fuori in coda ad aspettare l’apertura, esce Patrick in persona e, data l’ora di cena, ci porge un vassoio con del cibo. Il grande artista ha un cuore d’oro. I nei della serata sono pochi, ma ci sono: la durata dell’esibizione davvero esigua. La scaletta prevedeva ancora diversi brani, ma sono stati tagliati a forza poiché il Tunnel aveva in programma un altro evento dopo il concerto. Insomma, non proprio una scelta di buongusto costringere un artista a smettere di suonare alle 10.30, dopo un’ora o poco più di musica. Altro piccolo sassolino che avrà sicuramente infastidito il pubblico più esigente: la maleducazione di alcuni spettatori, che quasi davano sopra con la voce a Patrick stesso, il quale, con grande eleganza, li ha tollerati, salvo poi prenderli il giro e scimmiottarli in diverse occasioni. Anche questo ha strappato un sorriso alle persone che hanno avuto la fortuna di godersi uno spettacolo di così alto livello.
Arrivederci, Principe Patrick!
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Patrick Wolf: Ukulele, pianoforte, arpa, dulcimer appalachiano Victoria Sutherland: Violino, piano, arpa
Data: 02/12/2011 Luogo: Milano - Tunnel Club Genere: Pop
Setlist: 01. Wind In The Wires 02. House 03. Damaris 04. Pigeon Song 05. Time Of My Life 06. Lands End 07. The Railway House 08. Tristan 09. Together 10. The Falcons 11. The Magic Position 12. The City 13. The Future 14. Armistice
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