Home Recensioni Album Radiohead - The King Of Limbs

Radiohead
The King Of Limbs

Se cercate le belle melodie di In Rainbows o le chitarre di Hail to the Thief avete sbagliato disco. Dopo la svolta/rivoluzione del 2000 con Kid A e Amnesiac i Radiohead non sono più stati legati a contenuti musicali definiti, non si sa mai cosa aspettarsi dalla band di Oxford, loro “fanno i Radiohead”, non si riducono ad un genere musicale. Ed ecco che nel 2003 e nel 2007 uscirono lavori di respiro quasi classicamente rock, pur con qualche episodio degenerativo. Per il 2011 Thom Yorke e soci hanno invece deciso di tornare alla decostruzione.

Questo è The King of Limbs: otto tracce che sperimentano organizzazioni di suono diverse dal canone tradizionale. Non è un disco di belle canzoni, anzi, forse è il meno succoso dal punto di vista prettamente melodico: c’è una precisa volontà di arginare l’impianto musicale canonico (non a caso vengono esclusi pezzoni come “The Present Tense”). La strutturazione del suono è scissa, molteplice, disorganica, fuorviante, straniante. Da una parte poli-ritmi ossessivamente ripetuti, dall’altra il canto fluttuante di Yorke; non c’è interazione, non c’è sincronia, non c’è organicità. Le componenti del suono si contrastano vicendevolmente, o meglio si ignorano proprio, in modo da scindere la mente dell’ascoltatore e portarla così allo straniamento. A farcire il tutto, campiture spettrali dal gusto ambient, linee di basso profonde come gli abissi, suoni pieni, puri, fantasmi che aleggiano minacciosamente sulla materia ritmica.
Alla base ci sta un’idea di musica radicalmente diversa; musica ritmica, quantitativa, come un’equazione matematica, una somma algebrica di elementi indipendenti che sovrapposti creano un caos stordente. I Radiohead mai come oggi hanno stravolto il loro canone estetico. Qui non conta più di tanto il timbro, lo strumento che provoca il suono, ma il contrasto concreto ritmico/aritmico,veloce/lento; il suono è trattato come materia solida, i cui volumi determinano l’effetto psicotropo sull’ascoltatore, è musica spaziale, volumica, che fa perno sulla contrasto di suoni più che sul contenuto musicale. L’oggetto musica è stato desemantizzato, inaridito, trasformato in puro strumento psichico per andare a pungere determinati nodi del nostro modo di percepire. Più che canzoni esteticamente accattivanti, organizzazioni di suono stordente, il cui scopo è dilaniare l’ordine psichico dell’ascoltatore. Non le linee melodiche o ritmiche in sé, ma il loro modo di relazionarsi e di giungere all’orecchio come composto unitario. The King of Limbs non è musica rock da giudicare bella/brutta, è musica totale in cui immergersi e lasciarvisi avviluppare.

La stratificazione dei suoni è eccezionale. Ascoltatelo in auto a volume altissimo, sarà un’esperienza potentissima, vi divorerà le percezioni. O meglio, può essere fruito anche come un disco di classico rock, ma risulterà irrimediabilmente inferiore ai capolavori del passato, vi sembrerà un lavoro con melodie ordinate, composte, mai sopra le righe e accompagnamenti monotoni, come brusii di fondo. Girate la manopola del volume verso destra e sentirete l’oceano di suoni che sottende le composizioni e il contrasto ritmico che lacera ogni singolo istante di quest’opera. I primi quattro brani insistono su loop ritmici di feroce ossessività: “Bloom” mette subito in chiaro le cose, affiancando un ritmo claudicante al canto funereo, tutto immerso in fumi fantasmatici di algido terrore; è lo schema base su cui si sviluppa l’opera. “Morning Mr Magpie”, forte di un magnifico loop di chitarra spezzettato ed un andamento melodico più articolato e calibrato, ribadisce l’idea di poli-struttura in cui ritmo e melodia corrono paralleli ed indifferenti. “Little by Little” accentua i contrasti, con battiti affilati ed arpeggi morbidi a darsi battaglia; in un simile caos sonoro la voce melliflua di Thom Yorke è come un ricamo ulteriore, viene percepita di rimbalzo, non direttamente, e risulta per questo ancora più bella e ficcante perché marginale all’economia del brano. “Feral” è l’estremizzazione del concetto: a rispondere al poli-ritmo furibondo non è il canto, ma singulti spettrali, vocalizzi sconnessi e bordate tombali dal basso granitico di Colin.
“Lotus Flower” apre la seconda parte, più morbida, del disco. È il singolo di lancio, ma solo per la melodia un poco più orecchiabile delle altre; l’impianto ritmico è di una potenza maestosa, non inferiore ai brani precedenti. La stratificazione dei suoni è incredibile, ad ogni ascolto si scopre un nuovo dettaglio. “Codex” è la parodia, o meglio l’alterazione genetica della ballata classica in stile Yorke: mai si era sentito un pianoforte così riverberato, mai i suoni erano sembrati così pesanti, solidi, gli acuti così disturbanti, metafisici, antiestetici, la melodia così volutamente inconcludente. Solo con “Give Up The Ghost” si sente una normale chitarra acustica, ma sta volta è la voce stessa a creare il loop, da contrastare con una seconda voce. Poli-melodia. Straniamento continuo.
La tensione della prima parte cala progressivamente negli ultimi tre brani e si stempera nell’atto finale: “Separator”, possibile rimando ad un rapido successore di The King of Limbs e definitiva risurrezione dalle tenebre profonde del disco. È il brano più solare del lotto, per una chiusura luminosa in un sovrapporsi denso di suoni sfavillanti.

Con quest’opera i Radiohead demoliscono definitivamente la forma-canzone di stampo pop: poli-ritmo, poli-melodia, musica ambient. Siamo probabilmente di fronte ad uno dei dischi più destrutturati della musica rock. Un Trout Mask Replica del pop moderno. Unico appiglio: le parti vocali, seppur non convenzionali, contrastate, messe a volte in secondo piano, sono l’unica guida per l’ascoltatore ingenuo. Il disco è piuttosto ostico. Non è un bell’album da canticchiare come potevano essere i due predecessori. È un’opera di concetto, di ricerca strutturale. Probabilmente uno dei lavori più pensati e distanti dalla tradizione rock della carriera dei Radiohead. Impossibile dire ora se questo tentativo di innovazione porterà frutto. Di certo ci mostra una band che a quasi vent’anni dall’esordio ha ancora voglia di mettersi in gioco totalmente, rischiare di deludere le aspettative pur di trovare nuove soluzioni musicali che svecchino gli stilemi della musica rock.
The King of Limbs è un disco che ridiscute in modo globale la fisionomia del suono Radiohead, inondandolo di nuove interessanti idee. Ora la parola va al grande pubblico, saprà apprezzare gli sforzi artistici di quest’opera fuori dagli schemi?

90/100


Thom Yorke: Voce, chitarra ritmica e pianoforte
Jonny Greenwood: Chitarra solista, tastiere
Colin Greenwood: Basso, synth
Ed O’Brien: Chitarra e voce
Phil Selway: Batteria e percussioni

Anno: 2011
Label: Ticker Tape/XL/TBD/Hostess
Genere: Experimental Rock

Tracklist:
01. Bloom
02. Morning Mr Magpie
03. Little By Little
04. Feral
05. Lotus Flower
06. Codex
07. Give Up the Ghost
08. Separator

Banner

Questo sito NON utilizza alcun cookie di profilazione. Sono invece utilizzati cookie di terze parti legati alla presenza dei “social plugin”. Se vuoi saperne di più sull’utilizzo dei cookie nel sito e leggere come disabilitarne l’uso, leggi la nostra informativa estesa sull’uso dei cookie .

Accetto i cookie da questo sito.