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Coldplay
Mylo Xyloto

Il problema di fondo dei Coldplay potrebbe essere il seguente: “Come facciamo ad uscire con un disco ogni tre anni se il buon Chris tira fuori una manciata di belle canzoncine ogni cinque/sei?” La band si è trovata a dover affrontare attese più grandi delle sue effettive potenzialità, dopo che circa dieci anni fa riuscì ad infilare una sequenza quasi miracolosa di singoli perfetti. Per l’appunto, ritengo che Martin e soci siano più adatti a produrre singoloni ammazza-classifica che album validi nella loro interezza; il precedente Viva la Vida fu una felice eccezione, ma con l’attuale Mylo Xyloto si fanno diversi passi indietro.

Mai come questa volta i suoni sono curati nei minimi dettagli, il labor limae degli ingegneri audio è stato certosino ed ha portato una luminosità invidiabile, una sensazione di ariosità cristallina che è uno dei pregi maggiori dell’opera: cesellature raffinate e iper-dettagliate, che però sono solamente il palco scenico su cui l’azione deve svolgersi. Sono i quattro londinesi che dovrebbero dare un quid sostanziale al disco, non bastano una produzione coi fiocchi e qualche pennellata fluorescente a fare da scenografia. Sono le canzoni, nell’accezione più tradizionale del termine, a fare la differenza.

In questo senso, Mylo Xyloto è una discreta delusione. Chitarra basso e batteria si limitano a svolgere il compitino, come spesso è capitato, ma questa volta senza il guizzo d’inventiva che dava un minimo di spessore ad arrangiamenti altrimenti troppo vuoti. C’è davvero poco da segnalare, giusto qualche intreccio di chitarra in “Hurts Like Heaven” e in “Every Teardrop Is a Waterfall”. Il resto è pura retorica pop. Le lacune lasciate dagli strumenti tradizionali sono riempite da textures artificiali, puro volume di suono finalizzato a trasmettere una sensazione di pienezza, in realtà assente nell’aridità creativa di Buckland e compari.

Cuore pulsante della musica dei Coldplay, ed in questo caso vera nota dolente, sono le melodie di Chris Martin; è lui ad uscire maggiormente ridimensionato. Manca freschezza alle strutture vocali, troppe volte ingabbiate in una ripetitività ben camuffata che tuttavia emerge col reiterarsi degli ascolti. “Major Minus” farà eccitare i fan per la chitarra rauca (due misere note!) e la voce filtrata, ma presenta una struttura di fondo fragilissima. “U.F.O.” è altrettanto debole e maschera la pigrizia compositiva con un intimismo privo di sussulti emozionali. E che dire di “Up in Flames”? Musicalmente nulla, è una cantilena priva di qualsiasi spunto d’interesse, tutta intrisa dei soliti schemi standard. Altro brano scadente è “Us Against the World”: un condensato di retorica romantic rock da far accapponare la pelle. “Don't Let It Break Your Heart” stratifica al massimo i suoni, ma senza cognizione di causa; le parti non interagiscono, al contrario si coprono a vicenda e confluiscono in una fastidiosa poltiglia indistinta.

Qualcosa di decente Martin l’ha pur fatto: “Hurts Like Heaven” è sicuramente il brano migliore, l’unico davvero ispirato. Il primo singolo si difende bene, nonostante i synth imbarazzanti, mentre “Paradise” cade nel cliché più prevedibile e fastidioso di tutti, quello del coro da stadio. Peccato perché la strofa era accettabile. “Charlie Brown” è un altro monolite di retorica e banalità, un bocconcino predigerito per i fan, ma se non altro si salva per la struttura discretamente variegata e qualche idea non male in fase di editing sonoro. La collaborazione con Rihanna era evitabile, ma nel suo essere scopertamente commerciale risulta più gradevole (o meglio: meno irritante) degli altri maldestri tentativi di far passare per ricercate, emozionanti o semplicemente valide, canzoni in realtà fatte con lo stampino, e per giunta male, il cui unico scopo è piacere alle masse ed accontentare le attese di marketing.

Quattro brani su quattordici sono troppo pochi per la band guida del pop mondiale, arrivata ormai al cruciale bivio del “lascia o raddoppia”; tra il rilancio in grande stile e l’inizio della parabola discendente, non v’è dubbio che la strada intrapresa sia la seconda, almeno artisticamente parlando. Il disco è scadente nel songwriting, i brani non aggiungono una virgola alla carriera della band, ma la produzione oculatissima e la capacità di nascondere le falle con abbondanti stati di elettronica ed altre furberie, faranno di Mylo Xyloto l’ennesimo successo mondiale.

50/100


Chris Martin: Voce, chitarra ritmica e pianoforte
Jonny Buckland: Chitarra solista, sintetizzatore e cori
Guy Berryman: Basso, sintetizzatore e cori
Will Champion: Batteria, percussioni, chitarra ritmica e cori

Guest:
Rihanna: Voce in Princess of China

Anno: 2011
Label: Parlophone Records
Genere: Pop

Tracklist:
01. Mylo Xyloto
02. Hurts Like Heaven
03. Paradise
04. Charlie Brown
05. Us Against the World
06. M.M.I.X.
07. Every Teardrop Is a Waterfall
08. Major Minus
09. U.F.O.
10. Princess of China
11. Up in Flames
12. A Hopeful Transmission
13. Don't Let It Break Your Heart
14. Up With the Birds

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