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The Mars Volta: Le Peripezie Ultra-Prog di Omar e Cedric

L’avventura dei Mars Volta nasce dalle ceneri degli At the Drive-In: Omar Rodriguez-Lopez e Cedric Bixler Zavala lasciarono la band nel 2000 per dar vita ad una creatura musicale nuova, che rispondesse maggiormente alla loro necessità di eclettismo stilistico, svincolato da qualsiasi paletto di genere.

La prima incarnazione di questa nuova formula è data dall’EP Tremulant del 2002: tre pezzi folgoranti che uniscono le vibrazioni corrosive dell’hardcore punk più anarchico a melodie ficcanti, in un tourbillon ritmico e chitarristico di grande impatto. Deflagrazioni spaziali sconquassano l’andamento dei brani e li trasformano in mini-apocalissi tascabili, celebrazioni dell’entropia cosmica, estemporanei monumenti alla terribile caducità del genio creativo. Le note sgorgano così violente e inarrestabili che quasi si perde la concezione di “musica” classicamente intesa, si dimentica l’origine del suono e ci si smarrisce in architetture metafisiche, puri schemi di pensiero astratto, viaggi infiniti dentro alla necessità di senso della mente umana e alla sua smentita.

La novità è potente e la band attira subito l’attenzione della stampa mondiale: il primo disco, De-loused in the Comatorium dell’anno successivo, non a caso sarà un successo di critica e pubblico, vendendo mezzo milione di copie (!) e ricevendo critiche prevalentemente positive.
L’album codifica in maniera chiara la formula musicale dei Mars Volta: brucianti scatti hardcore si alternano a risacche melodiche sempre più soffuse e psichedeliche: le strutture dei brani di Tremulant (o meglio le anti-strutture) si sedimentano in scheletri organizzativi ora più riconoscibili ed assimilabili. Non a caso è affiorata la definizione di “progressive” per questa musica: ora tutti hanno capito il trucco, i brani non divagano più in fluttuazioni astratte e incomprimibili, ma si interpolano in strutture del tipo A – B – A – B che suscitano interesse per il fatto di mettere in contrasto l’estremamente duro (l’hardcore) con l’estremamente morbido (il pop), ma non per il loro modo di concepire la musica, cosa che invece Tremulant faceva. Poco male, il disco è comunque ben fatto: è il suono classico dei Mars Volta, quello che incarna in modo esemplare (o scolastico, a seconda del grado di approfondimento dell’ascolto) il concetto fondamentale della loro musica.
La varietà è assicurata anche grazie a diverse trovate che si alternato agli episodi più canonici: ritmi latini e chitarre tonanti (“Drunkship of Lanterns”), divagazioni space (“Tira Me a las Arañas”), squisiti esempi di pop d’alto profilo (“Televators”) fanno da controcanto alle suite hardcore – prog, incarnate principalmente da “Inertiatic ESP”, “This Apparatus Must Be Unearthed” (l’abc elementare dei Mars Volta) e “Cicatriz ESP” (esponente invece della vena più progressiva e divagante della band). “Take the Veil Cerpin Taxt” chiude alla grande toccando uno dei vertici d’ispirazione massimi.
Il disco non ha grossi punti deboli e si afferma come opera-manifesto dei Mars Volta: i brani sono articolati ma non così complessi e spezzettati, si riesce a seguirne l’andamento senza troppi problemi.

Problemi di fruizione possono invece emergere col disco del 2005, Frances The Mute: ascoltandolo si ha come l’impressione che De-loused fosse un riscaldamento, un giochino semplice semplice. È Frances la vera prova del nove della band; le aspirazioni totalizzanti enucleate in De-loused si manifestano qui nella loro portata più radicale; l’opera necessita di diversi ascolti per essere assorbita pienamente (non tutta la critica pare averlo capito), ma ne vale davvero la pena. Bastano due brani per regalare l’immortalità a questo album: “Cygnus...Vismund Cygnus” porta alle estreme conseguenze il patchwork ritmico tipico della band: i riff diventano forsennati, l’alternanza dei mood si fa spasmodica ed imprevedibile, tutto punta ad “andare oltre”, a trovare un nuovo livello di estremismo musicale. È un’estetica basata sul movimento, sull’alternanza: ogni cosa ha senso non solo in se stessa ma soprattutto nell’alternarsi brutalmente a quanto la precede. “Vismund Cygnus” immortala in una “forma fissa” il concetto di continuo movimento, scolpisce una statua del dinamismo estremo. La suite sprofonda poi negli spazi reconditi dell’anima per diversi minuti e riemerge fulminante nel finale: tutto è libero, non esistono geometrie, bilanciamenti, simmetrie, musica che segue il corso anarchico del cosmo e della mente umana.
Cassandra Gemini” è invece la ciclopica “conclusione” del disco: dura 31 minuti, ma non è tempo annacquato o tirato per le lunghe. Variazioni infinite si succedono senza sosta in un magma sonoro che sembra inglobare l’universo intero. I Mars Volta costruiscono un castello sonoro immane, inarrivabile, in cui è impossibile non rimanere intrappolati. Ogni elemento tocca vertici di eccellenza assoluta e si completa vicendevolmente con gli altri in un’apocalisse infinita. I 10 minuti free form con chitarra e fiati in evidenza fanno impallidire anche i King Crimson più sperimentali. È uno di quei brani definitivi, che assommano in sé gran parte della storia della musica rock. Difficile dire se sia la canzone migliore di sempre, sicuramente è una delle forme artistiche più alte espresse con chitarra basso batteria e voce. Semplicemente totale, universale, omnicomprensiva!
I tre brani centrali non sviliscono certo il valore del disco: “The Widow” è una melodia agrodolce che ripulisce l’aria dalle scariche radioattive della traccia d’apertura. La sua semplicità inebriante è ancora più gradita proprio perché arriva dopo il tour de force devastante di “Vismund Cygnus”. “L’Via L’Viaquez” rielabora nel migliore dei modi le influenze latine della band: una suite in continua evoluzione, tra intermezzi sussurrati e ripartenze brucianti, con una chitarra vulcanica in primo piano. “Miranda That Ghost Just Isn't Holy Anymore” è un altro brano lungo, caratterizzato da un complesso gioco di eco e sfumature sonore, con la sezione di fiati ancora in evidenza.
I Mars Volta riscrivono la grammatica del progressive: alterazioni repentine, digressioni infinite, accostamenti impensabili, frammentazione totale dei brani senza per questo privarli di connotazioni precise. Frances the Mute vede tutti queste caratteristiche declinarsi nella loro forma migliore e più riuscita; musica difficile e complessa, ma profondamente sensata e organica.

Tuttavia, quando si ha a che fare con una mole simile di materia sonora, è facile cadere nella trappola tipica del progressive: perdere di vista il senso complessivo delle canzoni, focalizzarsi sul dettaglio virtuosistico e perdersi quindi in un labirinto di autocelebrazioni fini a se stesse. E infatti sarà proprio il destino di Rodriguez-López e Bixler Zavala incappare in questo tipo di errore.
Amputechture esce l’anno successivo e rappresenta un grosso passo indietro; i Mars Volta si tuffano a capofitto nel progressive e perdono le caratteristiche che li rendevano unici: il sostanziale valore ritmico della loro musica, l’accostamento arbitrario dei frammenti sonori, la strutturazione dissacrante dei brani.
Il nuovo stile, nei suoi momenti peggiori, si incarna in pachidermi lentissimi e obesi, che avanzano senza il minimo spunto creativo, in un estenuante trascinarsi verso la fine del minutaggio. “Vicarious Atonement” mette già in chiaro le cose: senza i ritmi di Theodore e con un Frusciante in più a rallentare il tutto, assistiamo ad un insignificante masturbarsi di chitarre su melodie noiose. Privata dei ritmi forsennati dei tempi belli, la musica dei Mars Volta perde molto del suo fascino: si cade in un prog abbastanza inutile (“El Ciervo Vulnerado”). “Tetragrammaton” ha bisogno di 17 minuti per non dire niente. Gli elementi in gioco sono parecchi, ma suonano gratuiti ed insensati in un brano senza struttura né direzione; sembra un’improvvisazione tra amici chitarristi che hanno deciso di registrare i loro pomeriggi di cazzeggio. “Meccamputechture” mostra qualche traccia di rielaborazione in più, ma è una versione rallentata e prevedibile dell’antico (si fa per dire, è passato un solo anno) splendore marsvoltiano. I minuti finali ricordano “Formentera Lady”.
A confronto, “Vermicide” e “Asilos Magdalena” sembrano bei pezzi, quando in realtà non aggiungono niente alle valide melodie dei primi due dischi; se non altro, si lasciano ascoltare. La seconda contiene una delle prove migliori in assoluto di Cedric. “Day of the Baphomets” fa storia a sé, riproponendo le strutture schizoidi di “Vismund Cygnus” ed un impasto sonoro altamente complesso; è sicuramente uno dei pezzi da salvare. “Viscera Eyes” ritrova un po’ di carica e messa a fuoco, nonché una forma-canzone riconoscibile.
Non bastano tuttavia questi brani a risollevare le sorti del disco, che rimane la delusione più cocente nella storia della band. Si sente soprattutto che è un lavoro fatto in fretta: le idee di base ci possono anche essere, quello che manca è una fase di rielaborazione e levigatura che avrebbe potuto aggiustare un poco canzoni che in alcuni casi sono solo abbozzi, idee ancora in fase embrionale che andavano incubate meglio e sintetizzate in minutaggi più agili (una su tutte: “Tetragrammaton”).

L’album successivo, The Bedlam in Goliath del 2008, si apre con la strepitosa “Aberinkula” che in meno di 6 minuti sintetizza tutta la grandiosità stilistica dei Mars Volta e va anche oltre, introducendo una corposa sezione di fiati jazzy e una coda strumentale a dir poco sbalorditiva. I ritmi sono tornati propulsivi, grazie al nuovo batterista Thomas Pridgen, strepitoso e fondamentale per questo album. Unico neo, la voce a tratti troppo acuta ed effettata di Bixler Zavala. Tale problema si riscontra anche in “Metatron” ed in generale è l’elemento del disco che maggiormente fa storcere il naso. La tonalità del canto di Cedric si assesta troppo spesso su livelli eccessivamente acuti e fastidiosi: peccato perché musicalmente siamo di fronte ad una prova maiuscola, ritmicamente deflagrante, stracolma di idee. Alcuni brani sono vere e proprie tempeste sonore, bombardamenti a tappeto, in cui confluiscono i ritmi devastanti dell’hardcore, il virtuosismo chitarristico del metal più pregiato ed una patina di tastiere e fiati che amalgama il tutto. In questo senso, “Goliath” è un brano mostruoso ed impressionante: 7 minuti di devastazione, una bagarre furibonda ed inarrestabile che esplode nell’etere. “Cavalettas” è qualcosa di incontenibile, un condensato vertiginoso e stordente di ardore prog-core. Bene anche nei momenti meno devastanti, come il funk metal ipertrofico di “Ilyena”.
La strutturazione dei brani è cambiata: se prima si lavorava per giustapposizione di stili differenti, ora si opta per l’accumulo e la sovrapposizione delle diverse tracce strumentali: ne nasce un suono gonfio e densissimo, che riesce a farsi apprezzare soprattutto grazie ai ritmi veloci e al costante mutare dei temi.
Si toccano livelli di eccellenza davvero rari, ma il risultato è meno succulento rispetto ad altri exploit della band perché inevitabilmente ogni elemento non può essere messo a fuoco come meriterebbe. Le canzoni dei Mars Volta sono diventate dei labirinti immensi, i dettami del progressive rock sono radicalizzati fino all’estremo: cambi continui, polifonia massima, un intreccio di suoni spaventoso eppure godibile. È un peccato che Cedric non fosse in uno stato di forma consono all’occasione, perché il materiale presente in Goliath è davvero sbalorditivo. Le scelte vocali e le melodie sono quantomeno discutibili e allontano il pubblico dal disco, piuttosto che stimolarlo a proseguire l’ascolto. Va aggiunto che il materiale è forse troppo per un unico lavoro, l’ascolto ininterrotto è davvero ostico e ad un certo punto si inizia ad avere il mal di mare. Insomma, questi sono i Mars Volta nella loro incarnazione più radicale: prendere o lasciare.

Se il disco del 2008 era così vasto da richiedere numerosissimi ascolti prima di essere sviscerato pienamente, l’opera successiva ne è la completa antitesi: Octahedron esce nel 2009 ed è il disco largamente più easy della band. I ritmi rallentano, le canzoni si semplificano e assumono fisionomie più umane, malleabili, semplici. La band sembra essere rimasta scottata dal risultato del disco precedente, soprattutto a livello di gradevolezza delle parti vocali, e sembra voler insistere su questo punto per migliorarsi, colmare una lacuna che aveva in parte macchiato la stoffa pregiata di Bedlam.
I risultati sono evidenti fin dall’incipit “Since We've Been Wrong”: le note e la melodia scorrono così dolcemente che pare di ascoltare un'altra band. In effetti il problema del disco è proprio questo: vengono meno le prerogative fondamentali del suono targato “marsvolta”: le cattedrali prog-core implodono in architetture minimali, quasi un horror vacui. Il disco scorre piacevolmente, sembra che Rodriguez Lopez e Bixler Zavala si siano impegnati per deliziare le nostre orecchie con suoni liftati, dosati con parsimonia estrema: è tutto uno sfavillio di note dolci e melodie tenere, ma è facile gestire composizioni simili per una band avvezza a mastodonti coriacei ben più difficili da domare. È un po’ come schivare l’ostacolo: si chiedeva loro di rendere più fruibile e focalizzato il loro ultra-prog, non di rinunciare in toto al prog. Manca un punto d’equilibrio, una via intermedia.
Detto ciò, non ha senso stroncare un album che comunque ha i suoi pregi: l’atmosfera è magica, come in un bosco incantato; le musiche sono deliziose, cristalline come acqua sorgiva. “With Twilight as My Guide” è lieve e luccicante come la traccia d’apertura: “Teflon” e “Desperate Graves” aggiungono un quid ritmico più accentuato e si pongono come possibile punto d’incontro tra le pulsioni heavy e il nuovo afflato dream pop. Qualche momento di noia fa capolino, ma c’è “Cotopaxi” a ridare un po’ di brio, con il suo prog-core essenziale. L’unica perla del disco è “Copernicus”, splendida malinconia notturna, uno dei pezzi più emozionanti della discografia marsvoltiana. Piacevole novità: il mostruoso Frankenstein del prog ha un animo poetico.
Octahedron è un disco interlocutorio, di certo non memorabile; se non altro è una pausa di riflessione dalle devastazioni dei 3 bestioni precedenti che consente a Rodriguez Lopez e soci di riflettere sul valore estetico della loro musica e sulle eventuali modifiche da apportare. Un lavoro poco ambizioso quindi, ma importante per il percorso evolutivo della band: esiste una via alternativa, i Mars Volta sanno essere anche gradevoli e lineari, ora bisogna capire come fondere questa nuova anima con le ambizioni da guitar hero e tutto il resto.
Una prima risposta viene abbozzata in “Luciforms”.

Passano tre lunghissimi anni (per le loro tempistiche solite) ed ecco apparire ciò che ormai nessuno si aspettava: l’inatteso riscatto dei Mars Volta prende forma nel disco del 2012: Noctourniquet.
La felicità melodica dell’ultimo Zavala mostra ulteriori passi in avanti e va a costituire la prova più solida del cantante; il suo timbro vocale è finalmente addomesticato e ci regala splendidi frutti. I brani sono fruibili e ben strutturati, ma non per questo rinunciano alla ricchezza stilistica dei momenti migliori. Non si torna ai livelli di Frances the Mute, questo no, ma siamo anche ben lontani dagli errori di Amputechture e Bedlam. Le coordinate sono piuttosto quelle di un classicismo prog maturo, geometricamente perfetto. Tutte le abilità di questi bravi musicisti sono asservite alla causa di forza maggiore e cioè la buona riuscita del disco nel suo complesso. La varietà non era così ampia da molto tempo: si passa dalla magia ascetica di “Aegis” ai tumulti pirotecnici di “Dyslexicon”, passando attraverso l’eclettismo vocale di “The Malkin Jewel”, un lento reggae confezionato ad hoc per lasciare tutta la scena alle acrobazie spettacolari di Cedric. Ci imbattiamo in pezzi di bravura immensi, quale “Empty Vessels Make The Loudest Sound”, coronata da una chitarra spaziale, o la sbalorditiva “In Absentia”, che gioca con ritmi e eco sovrapposte, nell’esperimento più post rock di tutta la loro carriera. La title track è un magnifico intreccio di suoni elettronici, vocalizzi sublimi, pennellate fugaci di chitarra ed un ritmo scalpitante.
C’è la qualità che si coglie immediatamente, ma non mancano i tocchi di classe che emergono solo sulla lunga distanza: il nuovo batterista Deantoni Parks lavora su ritmi sornioni, originali e multiformi, che non complicano le composizioni, ma allo stesso tempo non le lasciano orfane di una guida metrica. Questo apporto si rivela fondamentale nei brani più dream pop del lotto: “Imago” non sarebbe la stessa senza il suo scheletro ritmico. La tracklist un po’ lunga annacqua solo leggermente il valore del disco, soprattutto perché le migliori cartucce vengono sparate nella prima metà di esso; ma non c’è un momento di gratuità, tutto ciò che compare su Noctourniquet è stato soppesato, ogni nota ha un suo senso.
Insomma, con l’album del 2012 la band di Omar Rodriguez Lopez e Cedric Bixler Zavala sembra finalmente aver trovato il suo equilibrio: i colossi prog-core sono ormai acqua passata, una pagina affascinante quanto difficile (spesso) della musica contemporanea. Ora i Mars Volta hanno scoperto di poter andare oltre i cliché che loro stessi si erano appiccicati addosso: Noctourniquet sta proprio qui a dimostrarlo. Musica altamente elaborata, ma non per questo inestricabile: musica tecnicamente notevole, ma che sa farsi apprezzare anche da un ascoltatore medio: musica artisticamente ambiziosa, ma che non dimentica i requisiti minimi per piacere al pubblico. Tutte le falle sono state rattoppate; ora la nave, l’immane veliero chiamato Mars Volta può solcare liberamente i mari sterminati della musica, senza doversi guardare alle spalle, senza preoccuparsi di colare a picco da un momento all’altro. E questo può essere solo un bene per la Musica attuale.


(2002) Tremulant: 8.2/10 *
Cut That City *
Concertina *
Eunuch Provocateur *

(2003) De-loused in the Comatorium: 7.9/10 *
Son et Lumière
Inertiatic ESP *
Roulette Dares (The Haunt Of)
Tira Me a las Arañas
Drunkship of Lanterns *
Eriatarka
Cicatriz ESP *
This Apparatus Must Be Unearthed
Televators
Take the Veil Cerpin Taxt*

(2005) Frances the Mute: 9.0/10 *
Cygnus....Vismund Cygnus *
The Widow *
L’Via L’Viaquez *
Miranda That Ghost Just Isn't Holy Anymore
Cassandra Gemini *

(2006) Amputechture: 5.6/10
Vicarious Atonement
Tetragrammaton
Vermicide
Meccamputechture
Asilos Magdalena *
Viscera Eyes
Day of the Baphomets *
El Ciervo Vulnerado

(2008) The Bedlam in Goliath: 7.0/10
Aberinkula *
Metatron
Ilyena
Wax Simulacra
Goliath *
Tourniquet Man
Cavalettas *
Agadez
Askepios
Ouroboros
Soothsayer
Conjugal Burns

(2009) Octahedron: 6.0/10
Since We've Been Wrong
Teflon
Halo of Nembutals
With Twilight as My Guide
Cotopaxi
Desperate Graves *
Copernicus *
Luciforms

(2012) Noctourniquet: 7.4/10 *
The Whip Hand
Aegis *
Dyslexicon
Empty Vessels Make The Loudest Sound
The Malkin Jewel *
Lapochka
In Absentia *
Imago
Molochwalker
Trinkets Pale Of Moon
Vedamalady
Noctourniquet *
Zed And Two Naughts

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