I Parsec sono una band bolognese che suona post rock da qualche anno; dopo il primo EP autoprodotto nel 2010, Illogico, sono giunti ora alla seconda pubblicazione, un altro EP intitolato Reset.
Fin dai primi secondi dell’opener si nota la qualità eccezionale delle registrazioni; i Parsec infatti sono stati assoldati dalla Mocambo Records, un' etichetta indipendente da poco nata ma molto ambiziosa, ed han potuto contare su un fonico di grande livello come Bruno Germano, ex chitarrista dei Settlefish, e già all’opera con molti nomi tra cui Il Teatro Degli Orrori e A Toys Orchestra. Ciò ha sicuramente favorito la resa di brani incentrati su un intrico strettissimo di chitarra basso batteria e violino elettrico e quindi esposti al rischio di diventare confusionari e caotici. Questo pericolo è ben scongiurato: “Goya” propone una struttura poderosa, basata su ritmi granitici, scosse telluriche e bordate di suoni densi, sovrastata poi da eco tombali, svolazzi eterei che, grazie anche all’ottimo lavoro di produzione, non si disperdono nel magma infernale a cui sottendono e seguono invece binari paralleli: grumo metallico ed aloni ultraterreni si distinguono nitidamente, una goduria. Sembrano gli Slint suonati dagli Isis. “Zenit” si snoda attorno a strutture più dinamiche ed ondulanti, la voce filtrata passa solo in parte tra le torbide linee di basso e le scosse ritmiche che squassano ad intermittenza il brano. È un classico labirinto post rock, fitto intrico di note oscure, in cui è la batteria a dettare gli umori, gli scatti irosi ed i riflussi più meditabondi, i sovraccarichi nevrotici ed i momenti di precaria distensione. Il tutto in 2 minuti e 39 secondi. “Reset” rallenta di nuovi i ritmi e costruisce un marasma deflagrante di suoni; scariche violente, note che paiono infinite (come nei migliori momenti Isis) e pulsazioni ritmiche che sembrano mosse dagli stati della coscienza. Poi stacco, riparte la ragnatela di suoni taglienti ed insieme ad essi un basso scolpito nel marmo, in un fiume impetuoso che ingrossa minacciosamente le proprie acque nere e sfocia infine nel vuoto cosmico. L’incantesimo si rompe quanto entra in gioco la voce pulita di “Monty Brogan”. In un viaggio disumano, le parole di un ragazzo ci risucchiano dallo spazio profondo e ci riportano sul pianeta Terra; è il tipico schiocco di dita che risveglia dall’ipnosi. Poco male, le frasi sono belle, il canto desolato e sincero: “Non c’è nessun arcobaleno a custodire il futuro”. Se però devo scegliere un brano da eliminare o comunque rivedere, scelgo questo: i versi non si devono capire così bene a mio modo di vedere, vanno camuffati, filtrati oppure gridati, come farebbe quella bestia di Aaron Turner. La conclusiva “Mahatma” è un'altra gemma indelebile: ritmi tribali, atmosfere mistiche, fumose, orientaleggianti ed un basso micidiale vengono intrecciati con la solita maestria in un vortice straniante. Il finale è in ascesa, come a cercare uno spiraglio di luce nel cielo plumbeo. Solo una grande band può essere in grado di rapire in questo modo l’ascoltatore e portarlo a spasso dove le pare e piace, nei meandri della psiche di questo, oltretutto. Tale rilievo dovrebbe far riflettere non poco sulla precoce grandezza di questi ragazzi. Un lavoro quindi di altissimo livello, che ci mostra come la scena underground italiana sia carica di frutti già maturi o quasi. I dettami del post rock più radicale sono stati assimilati alla perfezione e vengono qui riproposti con grande personalità e competenza. Scoprire band come i Parsec è una gioia immensa per chi è appassionato di musica. La qualità della proposta è innegabile, ma la critica nostrana sarà in grado di cogliere questo fiore, appena sbocciato eppure già straordinariamente bello? 68/100
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Federico Cavicchi: Chitarra elettrica e voce Anno: 2011 Sul web: |