Naturale quindi non sorprendersi più di tanto di fronte a quest’uscita di buon livello; essa non è altro che il frutto della normale evoluzione di un musicista, che con gli anni ha acquisito la personalità necessaria a proporsi come leader di un collettivo e non rimanere più nella penombra.
La fascinazione mistica di quelle canzoni del 2004 diventa il perno fondamentale dell’intero album: la voce ultraterrena di Josh è il punto di riferimento dei dieci brani, che comunque hanno una loro strutturazione solida e convincente, non sono schiavi del suo solo talento. Musicalmente siamo di fronte ad un lavoro buono, solido, elaborato con cura e sincerità. Pop rock per animi sensibili, melodie di cristallo da assaporare in religioso silenzio; malinconia dipinta con i pennelli dell’anima. Piano, chitarra e synth si intrecciano con efficacia, evitando di scadere nella ripetitività. Forse l’unica pecca è costituita dalle ritmiche di Eric Gardner, un po’ ridondanti, svogliate e anonime. Si poteva optare per uno stile più brioso o comunque più originale, che controbilanciasse l’andatura sorniona del canto.
Alcuni brani sono davvero splendidi: l’opening “Order/Disorder” è una scossa rock, con un chitarrone in loop che contrasta con la voce vaporosa: è certamente uno dei momenti forti. “Eye Opener” è come un cielo terso, ripulito da qualsiasi scoria; la scrittura di Josh punta dritto a commuovere, infilza la nostra sensibilità con lame affilate di pura emozione sonora. “Idleidolidyl” è un’altra perla: una melodia sussurrata dagli angeli. “The Earth Beneath” segna uno dei passaggi più complessi e riusciti: una sonata al pianoforte, deturpata da singulti elettronici e vibrazioni magnetiche, sublimata da una coda strumentale. “Inhibition” e “Quotes” riprendono le trame eteree di brani come “The Empty’s Response” (Ataxia) e “Communique”; la prima risulta un po’ faticosa da fruire, seppur intensa e d’atmosfera, mentre la seconda segue linee evolutive più accattivanti che la portano ad un finale potente.
Si pone in contrasto con questo stile nebuloso, la più vivace “The Wit of The Staircase”, la cui melodia agrodolce risulta quasi liberatoria nelle aperture più ariose, dopo le trame eccessivamente blande di “Inhibition” (come già detto, i tempi di Gardner non aiutano). Bellissima ancora una volta la coda strumentale. “Puncture” ribadisce il talento melodico ed espressivo di Josh, che domina la scena col suo canto spezzato, come sconvolto da un’angoscia infinita.
Qualche passaggio a vuoto c’è: “Discotheque” è musicalmente insipida, dominata da un ritmo noioso e sintetizzatori inutili. “Be Leaving” è più intensa e riuscita, ma il suo ritmo pronunciato smorza in parte l’aurea magica emanata dai vocalizzi di Klinghoffer.
Insomma, Inhibition è sicuramente un buonissimo disco d’esordio. Le qualità di Josh Klinghoffer sono ben espresse, è presente qualche difetto (in realtà pochi) e non manca un certo margine di miglioramento, soprattutto a livello di organizzazione complessiva delle canzoni, a volte troppo squadrate e monotone a livello ritmico; va però riconosciuto che gran parte del disco è estremamente affascinante e piacevole. Alcuni episodi raggiungono poi livelli di eccellenza assoluta. I Dot Hacker quindi devono solo limare qualche imperfezione, la sostanza della loro musica è già di squisita qualità. Un’opera sincera, suonata da artisti appassionati, che ricercano la riuscita estetica delle loro creazioni prima di tutto; e questo si sente molto bene. Promossi!
70/100
Josh Klinghoffer: Voce, chitarra, tastiere e sintetizzatori
Clint Walsh: Chitarre, tastiere, cori e sintetizzatori
Jonathan Hischke: Basso
Eric Gardner: Batteria e percussioni
Anno: 2012
Label: ORG Music
Genere: Rock Sperimentale
Tracklist:
01. Order/Disorder*
02. Idleidolidyl
03. Eye Opener*
04. Discotheque
05. Be Leaving
06. The Earth Beneath
07. Inhibition*
08. The Wit of The Staircase
09. Quotes
10. Puncture
*Già presenti nell’EP Dot Hacker