La risurrezione artistica di alcune famose rock bands, ritenute unanimemente alla frutta, è stata una delle sorprese dello scorso anno, musicalmente parlando.
Oasis e R.E.M. sono stati i principali protagonisti di questa riscossa dell’aristocrazia rock più decadente. Ora, trovandosi di fronte al nuovo disco degli U2, caduti in disgrazia da tempo (almeno artisticamente), è impossibile non sperare in un’altra, clamorosa, risalita. La band di Athens, prima dell’acclamato Accelerate, si trovava in una situazione a dir poco triste, con produzioni davvero anonime, che impallidivano di fronte ai fasti del passato. Stessa cosa succede agli U2: dopo i mitici anni ’80, la qualità e la prolificità creativa dei quattro va scemando, fino all’ultimo, terribile, How to Dismantle an Atomic Bomb. Il sound della band irlandese, basato su chiaroscuri suadenti, linee melodiche raffinate quanto esili (cosa sarebbe di questa band senza la voce di Bono?) e pennellate eteree di chitarra, aveva assunto negli episodi recenti una dimensione auto-referenziale, standardizzata, sterile. Ad un primo ascolto, il nuovo disco non presenta certamente alcun tentativo di rinnovamento. Uno stravolgimento sarebbe stato inutile ed anzi controproducente; impossibile pensare ad una simile band di successo, con la pancia piena da tempo, che si rimette in discussione. Quello lo si poteva fare ai tempi di Achtung Baby, ora non c’è più la voglia né le idee per cambiare. No Line On The Horizon non è un disco di rinnovamento e ad un ascolto superficiale può sembrare anche peggio del suo predecessore. La realtà è tuttavia ben diversa. I quattro di Dublino riescono infatti a collezionare una serie di buone canzoni, godibili e curate al punto giusto, che risollevano almeno in parte la loro parabola discendente. Troviamo comunque alcuni episodi di dubbio valore. Il primo singolo “Get On Your Boots” è sicuramente il momento più goffo ed inutile, una copia spudorata delle hit del passato. “Stand Up Comedy” è un rock che vuole essere sporco, ma non ci riesce del tutto, soprattutto per mancanza di ritmo. “White As Snow” è abbastanza soporifera, pur mostrandoci un Bono in grande forma, mentre “I'll Go Crazy If I Don't Go Crazy Tonight” è un collage di vecchi successi. Per inciso, il fatto che tre dei brani sopra citati siano tra i quattro brani composti unicamente dalla band (l’altro è “Breathe”), deve far riflettere sulla sua ormai scarsa autonomia creativa. Il resto dei brani presenta una qualità discreta, con alcune gemme fulgenti incastonate qua e là. La title track convince per dinamicità ed atmosfera, “Moment of Surrender” ha grande intensità, sebbene il refrain non faccia impazzire. La già citata “Breathe” sa mordere con le sue sferzate di chitarra distorta ed un cantato dinamico. Certo, a volte emerge un po’ di noia, si sente un certo distacco professionale che è tuttavia inevitabile dopo una carriera trentennale. Momenti eccellenti si registrano ancora con “Cedars of Lebanon” , un sussurro agrodolce di totale intimità, in un paesaggio sonoro evanescente. “Unknown Caller” sarebbe stato un brano solo discreto, se The Edge non avesse deciso di marchiarlo a fuoco con le grida straripanti della sua chitarra. Altro grande pezzo è “Fez - Being Born”; un intro che sembra un film thriller ci accompagna fino all’irrompere di una chitarra robusta e fini ricami elettronici che incorniciano una melodia nebbiosa, a tratti epica. Con “Magnificent” (annunciato come secondo singolo) gli U2 danno tutto il loro meglio: atmosfera fumosa, motivetti elettronici, chitarre vibranti ed una linea melodica valida quanto coinvolgente, col ritmo vivace che sostiene bene il saliscendi vocale di Bono. Splendida prova per il cantante, che si mostra qui in una delle sue performance migliori degli ultimi 15 anni. Un disco che poteva essere molto buono, ma, zavorrato da alcuni momenti di appannamento (per non dire svendita commerciale) , si attesta su livelli solo sufficienti. Peccato. 60/100
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Bono: Voce e chitarra Anno: 2009 Sul web: |