Si riaffacciano sul mercato gli ormai veterani della seconda ondata (al 1997 infatti risale il loro introvabile primo demo) di elite bands norvegesi con il quarto disco a distanza dal mezzo passo falso di 'Armada' del 2006, è inutile dire che le pretese di vendibilità di questo disco siano abbastanza alte, infatti il combo incarna in se una nuova veste, la solita veste di chi vuole essere originale diventando l'icona del facilmente assimilabile a discapito delle proprie origini (se mai la band ne abbia veramente avute di sue...).
Le capacità tecniche ci sono tutte, si sente eccome la preparazione tecnica e una vita 'on the road' al fianco di nomi come Satyricon o Behemoth di alcuni dei componenti del gruppo ma è palese la forzatura di molti aspetti del disco che nonostante sia ben pensato sa troppo di plastificato e affievolito con idee non certo nuove in ambito moderno. Il nodo cruciale sta tutto qui, se volete una band frizzante e un heavy black morbidamente 'truccato' allora la release fa al caso vostro, ma se siete ancorati ad un concetto diverso di black metal ascolterete il disco chiedendovi spesso il perché. Si, perché qui non c'è coraggio ma solo la voglia di prendersi il sicuro con un metal contaminato dal black e non più il contrario, con massicce dosi di tecnica e melodia sinuosamente venefica, un drumming bombastico, sferzate nel death metal tecnico e ‘thrashoso’ ricche di scale e scalette (vedi Vader) o riffing stra-figo e altisonante, un lavoro sulle chitarre dal riffing piacevole ed un basso che da un tocco di epico ulteriore all'uso di vocals evocative che spaziano tra Dimmu Borgir style, Attila Csihar e addirittura Johan Edlund ... I Keep Of Kalessin non sono male, sia ben chiaro, ma la continuità con il disco precedente è molto presente e pesante, in pezzi come "A new Empire's Birth" o "Against The Gods" potrebbero anche salvarsi, i brani sono ben articolati con una trama quasi teatrale che mi riporta a certe cose dei tempi andati e quindi niente di nuovo all'orizzonte ma un ottimo equilibrio tra passato e presente, con una ottima registrazione però e dei suoni che possono anche rasentare la perfezione (effettuata nel loro studio personale sito in Trondheim), potenza da vendere e una struttura più che accettabile considerando la durata di più di 5 minuti e più di 8 minuti. Ma il loro ritorno alla ribalta mi pare nasconda la voglia di mostrarsi allo specchio piuttosto che colpire il centro, la band perde tempo ad abbellirsi e questo secondo me gli farà perdere molti punti e vecchi fan per tentare forse una sortita nello scoppiato mercato americano (?). Se prendiamo brani come "The rising Sign" vediamo confermata questa mia teoria, ci sono addirittura gli spazi per un metal ai limiti con il gothic (senti parte finale con piano e violini) che onestamente a me possono anche piacere ma che snaturano assai il dna della band e la fanno assomigliare terribilmente a Dimmu Borgir e company. Nel disco può essere connotata una raggiunta stabilità della line-up, con una maniacale ricerca della progressione condita con forti tinte di malevolenza, eroicità in un mirato caleidoscopio di chaos miscelato in ogni sua forma, i Keep Of Kalessin evocano così il loro personale punto di vista infernale creando un pandemonio musicale sofisticato e lontano a mio modo di vedere dalla ventata di aria fresca che avrebbe bisogno il black metal attuale con un utilizzo della melodia del tutto scontato e ciò si può evincere in un brano come "Warmorgen", una track che scorre via liscia e semplice e che forse colpisce nel segno più di altre, e questo è tutto dire... Non voglio demolire questo disco ma voglio solo mettere in guardia da chi lo definisce un nuovo 'classico' del genere poiché i Keep Of Kalessin non possono denominarsi ancora black metal se riempiono il loro sound di elementi progressive e melodici, qui di black metal feroce ci sono solo degli sparuti sprazzi, alcune accordature e riff a pioggia, ci sono invece molte assonanze con il death melodico svedese, e con tutte quelle bands che in questi anni hanno cercato di togliersi di dosso i pesanti panni del black (Emperor, Dissection, Enslaved, Satyricon) riuscendo a proporre una salsa diversa ma che sempre la stessa rimane. Resta l'oscurità di certi momenti, e la rabbia pura rimane invece soppressa, come inespressa, poi un mare di soluzioni ammiccanti che seppure estreme risultano più piacevoli che d'impatto e originali, "Kolossus" quindi lascia l'amaro in bocca anche perché se si sentono brani come "Escape the Union" si può pervenire tutta l'elettricità del gruppo ed una grande capacità di songwriting con la accoppiata perfetta imponente e progressive style miscelata insieme alla melodia e ad un tocco epico evocativo di proporzioni immani ma se poi si ascolta la successiva "The Mark of Power" e ci si rende conto che la track quasi starebbe bene in un disco dei vecchi Tiamat e allora tutto cambia, tutto viene sovvertito ed il tutto non ha più senso. si recupera con "Kolossus" ma questo non è abbastanza, black metal diluito all'attitudine estrema e melodica, aggressione frontale e spettrale, quasi glaciale ma non diversa da esempi gia ascoltati nel tempo con un sapore orientale che mi ricorda i Moonspell ad esempio ricca anche di blastbeats e doppia cassa da paura, avaria ma fottutamente Swedish, il che per una band Norvegese sarebbe apparso un affronto insanabile qualche annetto fa. si chiude con "Ascendant" che conferma quanto prima enunciato, frustate massicce ma prive di detonazione e cattiveria nonostante il brano sia più che aggressivo ma non certo black metal puro. Questo quindi a differenza del nome non è un disco colossale e non appartiene alla categoria esclusiva del black evoluto, ma è un album di tutto rispetto che si assesta nella media, interessante dal punto di vista meramente esecutivo con picchi molto alti ed altri meno curati, che farà felici gli ascoltatori sul versante sinfonico e melodico, ma lascerà l'amaro in bocca a chi ricorda le vecchie gesta della band (mi riferisco ai primi album) e scontenterà tutti gli altri. Scommettiamo che se questo disco si rivelerà un flop a livello di vendite la band smonterà di nuovo il suo puzzle e non ci metterà molto a ritornare sui suoi passi??? 55/100
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Obsidian Claw (A.O Gronbech): Chitarra, synth Anno: 2008 |