Prosegue senza ostacoli la corsa dei Kamelot che con questo “Ghost Opera” non fanno altro che confermare quanto non ha ormai più bisogno di essere dimostrato.
Il disco si fa ben notare per un utilizzo spregiudicato di sonorità d’avanguardia, che tuttavia non costituiscono alcuna variazione sostanziale in quella che è la formula compositiva peculiare della band. La conferma del bravo Oliver Palotai alle tastiere sembra aver dato il cosiddetto valore aggiunto ad una band che da questo punto di vista si era già messa in mostra con numeri di pregevole fattura. Aldilà delle caratteristiche che fanno di questa fatica un lavoro ben riuscito va denotato anche come questi scadano in alcune parti dell’album, in orchestrazioni tanto sontuose e orecchiabili quanto scontate. Se è vero che il power sta vivendo una sorta di caduta libera lo si deve anche a questo, per cui, sia pure a malincuore, non mi sento di attribuire ai grandi Kamelot il voto che probabilmente non demeritano. A prescindere da queste personali congetture và detto che il disco merita più di un ascolto, in quanto gli stati d’animo chiamati in causa nei vari brani sono tanti e sfaccettati. La chitarra di Youngblood scandisce la titletrack con un tappeto sonoro orientaleggiante degno di una colonna sonora. In tutto questo si muove suadente la voce di un Khan in grande spolvero. Magnifica anche “Mourning Star”, forte dell’intervento della bellissima Simone Simons (frontgirl degli Epica). Il disco non presenta particolari digressioni strumentali né alcun genere di pomposi assoli prolissi. Questo senza comunque smarrire quella vena Prog che è tipica della band. Il quintetto ha insomma colto ancora nel segno, grazie anche alla guida di Sascha Paet che ne ha curato la produzione. Riesce difficile immaginare un passo falso nei dischi che usciranno negli anni avvenire. Quando d’altronde si fa uscire un album come “Ghost Opera”, destinato ai fans e non solo, non si può essere che ottimisti. 80/100
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Khan: Voce Anno: 2007 |