Tornano per il loro terzo album i Redemption di Nick Van Dyk e Ray Alder, tornano con una line-up finalmente stabile, solo un cambio con Sean Andrews al posto di James Sherwood, tornano dopo un buon lavoro ormai datato 2005 ed intitolato "The Fullness of Time" e come detto tornano con il loro terzo album, album che di solito viene indicato come l'album fondamentale, fatidico, per valutare appieno le capacità di una band. l'album della conferma, della svolta, della consacrazione o l'album del declino.
"The Origins of Ruin", questo il titolo scelto dal combo americano per questo loro ultimo lavoro, poco si discosta a livello stilistico dal precedente, puro Progressive Metal melodico e tecnicamente molto pulito con alcune divagazioni più aggressive e più devote a sonorità più spiccatamente Heavy e Power, nulla di nuovo o di particolarmente innovativo quindi nel sound dei Redemption che anzi si assesta ancor di più su coordinate che richiamano direttamente i Dream Theater, i Symphony X e la band di Ray Alder ovvero i Fates Warning. Il disco risulta comunque gradevole a dimostrazione ed a conferma che i Redemption hanno ormai trovato un proprio giusto equilibrio compositivo, dimostrando, se mai ce ne fosse bisogno, visti i nomi che compongono la line-up, anche ottime doti tecniche. Sempre molto abile Ray Alder a giostrare con la melodia caratterizzando i vari pezzi con la propria voce indubbiamente a suo agio nel garantire un tocco più melodico ed accondiscendente anche alle parti più robuste ed aggressive, decisamente virtuoso e sopratutto versatile Nick van Dyk sia che esso stia dietro le tastiere e sia che passi alla parte di mattatore con la sei corde, ritmiche più che adeguate all'occasione senza particolari picchi di eccellenza ma anche senza alcun calo nel mantenere la giusta tensione ritmica. L'inizio è impetuoso e dirompente, con 2 pezzi decisamente d'assalto come "The Suffucating Silence" e "Bleed me Dry" e l'adrenalina aumenta con "The Death of Faith & Reason" il brano più Heavy dell'album, con riff decisamente serrati, una ritmica più martellante ed una linea vocale più arrembante, senza dare un attimo di regua all'ascoltatore. "The Origins of Ruin" tocca a mio parere il suo apice con "Memory", il brano più lungo, con i suoi 9 muniti e mezzo, un brano vario, composito in cui è la parte più Prog del sound dei Redemtion a condurre maggiormente la partitura musicale, brano che affianca una buona dose di atmosfera ed emozione al puro virtuosismo strumentale. Breve brano lento e di passaggio è la title track che introduce a "Man of Glass" che sulla falsa riga del precedente "Memory", ci riporta, anche e sopratutto grazie ad un superlativo Ray Alder sulle stesse corde emozionali anche se su tonalità meno Prog e più Power. Più introspettiva e su toni più lenti e cadenzati è invece "Blind my Eyes" che evidenzia ancor maggiormente nella coppia Alder-Van Dyk i veri padroni assoluti del sound dei Redemption, brano che con il successivo "Used to be" rappresenta forse il momento meno ispirato di questo "The Origins of Ruin". Un inizio quasi speed per "Used to be" salvo poi improvvisamente rallentare su ritmi che permettono a Ray Alder di esaltare maggiormente la propria vena melodica anche se ormai si palesa una certa fase di "stanca" nella progressione musicale dell'album. Degno brano di chiusura è "Fall on You" in cui tornano certe atmosfere più corali ed in cui torna ad emergere una certa complessità nella struttura e nell'armonia musicale, con le atmosfere che diventano più inquiete. Nel complesso un buon disco, non sempre completamente convincente e coinvolgente ma sicuramente gradito e gradevole, certo nulla di eccezionale, nulla di innovativo, non si grida la miracolo ma comunque un buon disco che consente ai Redemption di superare la soglia del terzo disco con il sorriso sulle labbra. 70/100
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Ray Alder: Voce Anno: 2007 |