Dal 2012, i Blackfoot non sono più una storica band composta da agguerriti vecchietti sudisti, ma un ensemble completamente rinnovato che compende quattro giovani musicisti personalmente scelti da Rickey Medlocke, storico leader del gruppo (oggi nei Lynyrd Skynyrd, nel cui organico ha fatto parte nel biennio 1970-71 e milita tuttora, da venti anni circa). Così facendo, il polistrumentista di orgine Sioux ha, di fatto, anticipato le intenzioni di Gene Simmons e Paul Stanley (che hanno più volte manifestato analoghi intendimenti riguardo ai Kiss), evitando di far cadere nell'oblio un lascito importantissimo per la cultura southern rock americana ed internazionale (ne abbiamo parlato dettagliamente proprio con l'interessato, nell'intervista che si trova qui).I Blackfoot, infatti, assieme a bands quali Molly Hatchet e Outlaws, sono da considerare tra i precursori del c.d. "hard southern" - genere musicale che coniuga perfettamente il southern rock con l'hard rock - capaci, peraltro, di vendere oltre cinque milioni di dischi in tutto il mondo a cavallo tra i '70 e gli '80, loro periodo di maggior successo. In realtà, Medlocke rimane nell'attuale organico e neanche tanto virtualmente, giacchè, oltre ad essere regolarmente accreditato nella formazione - sebbene relegato all'ultimo posto - egli è il produttore del progetto nonchè e il co-autore di ben sei dei sette brani inediti che compongono questa nuova fatica discografica (l'altro nuovo pezzo è accreditato al nuovo chitarrista mentre ulteriori tre brani sono cover). Parlando in termini più squisitamente artistici, l'album qui recensito si evidenzia quale ottimo "debutto", in realtà quasi del tutto privo di connotazioni southern - compagine, a dispetto del titolo, limitata ai soli brani "Southern Native", "Whiskey Train" e "Satisfied Man" - molto indirizzato, invece, verso un pregevole, puntuale e credibilissimo hard rock. Avremmo certamente gradito maggiore propensione alla slide, peraltro limitata, nell'esecuzione, al solo Medlocke (c'è da chiedersi come farà la band dal vivo, in sua assenza), ma il disco ci è comunque piaciuto molto, capace, come è stato, di percorrere un range musicale piuttosto esteso: se, da un lato, pezzi come "Need My Ride" e "Love This Town" sublimano la lezione di stampo anglossasone, "Everyman" è una ballata che pare strappata ai Red Hot Chili Peppers più romantici, "Call Of A Hero" rappresenta l'unica (moderata) incursione in territorio grunge, mentre "Take Me Home" omaggia i Metallica di "Unforgiven". Alla luce di quanto sopra descritto, l'unico passo falso dell'intera opera, la cover di "Ohio" di Neil Young (piuttosto deboluccia, rispetto all'originale, se non nell'esecuzione, quantomeno nell'arrangiamento, decisamente meno hard), risulta assai perdonabile ascoltando "Diablo Loves Guitar", gioiellino acustico di raro spessore, le cui sonorità risultano vicine alla cultura di confine tra Texas e Messico. |
Rick Krasowski: lead vocals Anno: 2016 |