La rubricazione palesata nel titolo esprime abilmente il significato sottesso all'accoppiata di cui sopra: da un lato la malcelata volontà di mascherare l'insolenza e la villania del turpiloquio, dall'altro un archetipo che va ben oltre la dimensione della realtà, sotteso ad un approccio perfettamente in bilico tra l'assurdo modus operandi e l'irreale contesto. Il risultato, ancora una volta, si sviluppa in una goliardia demenziale in grado di generare risate da osteria di stampo quasi virulento ove, volutamente (e saggiamente), risulta assente qualsiasi componente intimista e riflessiva. E' questo l'obiettivo principale dei due attori, perseguito previa proposta di una dozzina di sketch assai riusciti dedicati al mondo della celluloide, la maggior parte dei quali inediti (il poliziesco ove viene esasperato il politicamente corretto; la parodia kafkiana del filone giallo; il concettuale scontro tra i linguaggi forbito e triviale), altri, invece, forti di archetipi già consolidati, pur impreziositi da varianti significative (tra questi, il ricorrente scherno rivolto alla buffa goffaggine di Lillo e l'adirato interprete di italiano/giapponese). Le capacità espressive di Lillo&Greg concretizzano l'efficacia di una macchina della risata che poggia i suoi cardini su una romanità verace, anche quando espressa oltre i confini capitolini, se non peninsulari: che si tratti del contesto ciociario o di quello nipponico, passando per l'italiano antico di toscana, dantesca memoria, il duo rimane ancora un inossidabile marchio di fabbrica della risata che incunea, in una comicità immediata di stampo attuale, anche fugaci elementi del varietà, dell'avanspettacolo, della rivista, stante la presenza, ancorché limitata, di canto e danza, pur a vocazione più ilare che di intrattenimento. Tralasciando la minore proficuità del format "L'uomo che non capiva troppo", l'unico non perfettamente riuscito (ove il meccanismo dell'uomo che non capisce è inserito in un alveo gratuitamente macchinoso, sebbene, ad onor del vero, la volutamente stramba imitazione di Totò è tra i punti più alti dell'intero spettacolo) e la parodia del filone poliziesco (da un lato esemplare nella sua esasperazione del political correctness, dall'altro, purtroppo, priva di una conclusione sferzante che, infatti, non genera, nell'immediato, il consueto applauso-tributo), lo spettacolo si sviluppa per più di due ore in termini tanto efficaci quanto repentini, raggiungendo la sua punta ilare nel gustosissimo episodio che va a parodiare la censura del cinema pornografico nonché l'illogicità delle sue assurde trame, seguito, a ruota, dalle altrettanto valide perculazioni dei musical e del cinema introspettivo nord-europeo. La presente recensione si riferisce alla rappresentazione del 19 febbraio 2025. |
MOVIe ERCULeO Teatro Olimpico Spettacoli |