Gavin Harrison è notoriamente un grande faticatore. Per nulla soddisfatto di tenere il tempo agli ordini di Steven Wilson e dei Porcupine Tree, ha pensato bene di prestare i suoi servigi anche a Robert Fripp in occasione della recente tournée americana celebrativa dei quaranta anni di vita dei King Crimson e ultimamente anche alla super band degli OSI.
Tuttavia Harrison si era già messo in luce, non più di un anno addietro, assieme al suo discepolo e polistrumentista, l'ottimo 05Ric. Il loro primo lavoro, intitolato Drop, aveva stupito per la capacità di garantire la coabitazione musicale di raffinatezza e perizia su un versante, tecnica e tempi asimmetrici sull'altro. Detto ciò, si può avere una vaga idea di cosa attenderà l'ascoltatore nel momento in cui prenderà tra le mani la loro seconda fatica, Circles. Se le attese sono in buona parte ripagate, il duo riserva a ben guardare anche alcune gradevoli sorprese. Innanzitutto, il cantato di 05Ric, la cui impostazione sembra scopertamente fare riferimento a Björk e che finisce per rivelarsi più accattivante che sul precedente album il quale a tratti finiva per spiazzare. La sua voce calda e profonda su alcuni pezzi quali Source o Last Call si incunea amabilmente nel cuore delle strutture estremamente articolate delle composizioni e rivela da una parte un amore spiccato per l'azzardo e l'inesplorato, dall'altra un tentativo di forzare molto la mano in senso sperimentale. Facendo un passo indietro si nota che mentre Drop metteva a punto le fondamenta di una musica ricca, complessa, nella quale svettavano le non semplici partiture di Gavin Harrison ma anche una paradossale vena melodica, Circles si segnala soprattutto per un accento jazz-fusion molto più marcato, che contribuisce a consolidare l'amalgama e il groove che denotano il duo artistico. Senza fronzoli, Circles è un lavoro di ottima fattura nel quale appare ingeneroso valorizzare un solo pezzo del lotto. I richiami ai giganti di riferimento che sembrano chiaramente essere i già menzionati King Crimson e Gordian Knot permeano tutto il disco che gode di una più robusta libertà di scrittura e di una più vasta parte di improvvisazione. Anche la produzione è estremamente limpida e rende pienamente giustizia agli strumenti senza inutili orpelli. Lecito interrogarsi adesso su quali saranno le prossime strategie dei due. 82/100
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Gavin Harrison: Batteria, basso, chitarra Anno: 2009 |