Ascoltando l’album, l’impressione è proprio quella di un lavoro in cui la dimensione sonora di ogni brano è più che mai determinata dalla penna dei vari artisti coinvolti: più elettronici ed eccentrici – ma spesso anche meno compiuti – i pezzi a firma di Liselotte Hegt; più acustici e cantautorali quelli di Gildenlow, con Rommert van der Meer a fare un po’ da trait d’union tra i due versanti musicali. Il risultato è comunque un album che a parte episodi a se stanti come il power rock un po’ grossolano di Beautiful (purtroppo scelta come singolo) o il divertissement di Candyland (un pezzo che per spirito e sonorità non sarebbe dispiaciuto al Freddy Mercury di Bring Back That Leroy Brown o Lazing on a Sunday Afternoon), si orienta decisamente verso atmosfere ovattate e malinconiche. Nelle tracce più riuscite le chitarre acustiche, spesso supportate dal mandolino o dal piano, dominano la scena, riportando alla mente sprazzi del capolavoro Be e delle session unplugged degli stessi Pain of Salvation, mentre più di un riferimento può essere ritrovato anche ai Pink Floyd più introversi e watersiani (Green Knees) o agli immancabili Beatles (Sadness). Dopo qualche buon pezzo (la struggente Wish It Away, l’ariosa Points of View con Gildenlow al cello ed echi Echolyn nell’apertura che caratterizza il brano) è la conclusiva e corale Childhood Dreams, con la sua lunga coda strumentale floydiana, a costituire un ideale punto d’approdo e al tempo stesso di partenza per la ricerca sonora del gruppo. Dial è un progetto ancora in nuce, ma con Synchronized Kristoffer Gildenlow ha comunque dimostrato di portare in sé i germi dei Pain of Salvation che più ci piacciono: quelli più delicati, introspettivi, intimi, crepuscolari. Più vuoti che pieni, dunque. Più luci che ombre. |
Liselotte Hegt: Voce, basso, tastiere Anno: 2007 |