Generalmente c’è bisogno di una lunga premessa per presentare lavori come questo.
C’è chi potrebbe dire che si tratta del loro primo album e quindi è normale che sia così, oppure c’è chi direbbe che ha sonorità troppo complesse per essere assaporato a pieno. Non che entrambe le cose siano del tutto sbagliate, ma fate finta di aver avuto una giornata catastrofica (molto probabilmente non c’è bisogno tanto di far finta) e di tornare a casa e non saper dove sbattere la testa per calmarsi. Cosa c’è di meglio se non ascoltare un album dalle frequenze extraterrestri che rimanda in loop una serie di suoni tanto da farti scordare chi tu sia. Delay House è stato concepito con diverse “anomalie”. La strumentazione, come il basso e la chitarra sono spenti, senza alimentazione elettrica, mentre la batteria acustica e la voce sono passati al digital delay. Questo modo di suonare ha fatto si che si i riminesi Delay House creassero un album fuori dai canoni, originale, innovativo, insomma siamo abituati ad ascoltare musica dove gli strumenti sono tutti al loro posto e fanno tutti il loro buon lavoro; dimenticate come si suona e avvicinatevi ad una delle nuove tante frontiere musicali nascoste nel vasto panorama mondiale, aprite le vostre menti e gustatevelo, non sarà inizialmente facile, ma riuscirete a capirne le dinamiche. La particolarità dei brani inoltre sta nel testo praticamente inesistente, dato dalla pronuncia del titolo del brano mandato poi in loop. Classico esempio è “Sei” dove una voce resa acerba è in grado di creare il ritmo sulla base generata dagli strumenti ovattati. “Gemello popolo e regime" varia nel contesto rispetto alla prima traccia e alla successiva “Input/Output”. Cambia la base si, ma non il modo di interagire con essa. In questo caso si genera un andirivieni di un eco immaginario, una sorta di confusione innocua del suono. “Estetica” e “I Moti Insurrezionalisti” danno origine ad una corrente più mediorientale, mentre in “Mal” riprende piede la voce contenuta nella prima traccia, ma resa allucinogena nella prima parte per dar poi libertà di parola agli strumenti. Tipicamente lo-fi è “L’Italia”, mentre gli esercizi alla chitarra aprono la traccia di chiusura “Alla fine” facendo sgorgare una stupenda sinfonia naturalistica. Non sto dicendo che sarà facile. Sto dicendo che sarà magnifico. E’ un tripudio di suoni che raramente si riesce ad ascoltare, una vera e propria novità in questa scena musicale sempre amalgamata in un tutt’uno. 77/100
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Fabio Celli: Chitarra e voce Anno: 2009 Sul web: |