Gruppo prog tedesco largamente sottovalutato che nasce nel 1963 dalla ceneri dei Beatkids, cover band di Beatles, Rolling Stones e Shadows. Nel 1970, manifestata l'esigenza di aderire a nuove espressioni musicali, alcuni membri (segnatamente i fratelli Grumbkow) saccheggiano il moniker dal poeta tedesco Friedrich Hölderlin e vengono messi sotto contratto dalla Pilz, sussidiaria della più nota BASF, pubblicando nel 1972 "Hölderlins Traum", album che, avvalendosi dell'apporto di 9 elementi ed utilizzando strumenti variegati tra cui Mellotron, pianoforte a coda, violino, violoncello, sitar, tabla e flauto, propone una musica folk di stampo quasi celtico, abilmente connotata, in un paio di brani, da vaghe influenze rock e jazz. Successivamente, l'organico vive un periodo sfortunato: a causa delle vendite scarse del disco (appena 5000 copie, cosa che lo rende oggi un oggetto molto ambito nell'ambiente collezionistico), il loro produttore Rolf-Ulrich Kaiser (Tangerine Dream, Klaus Schulze e Wallenstein) cerca di spingere i musicisti verso sonorità space e kraut, cassando peraltro i testi politici. Una lunga battaglia legale fa segnare il passo per tre lunghi anni, dopo i quali, la band vince la causa riuscendo a svincolarsi dall'etichetta: cambiato nome in Hoelderlin (sparisce la "s" finale e il dittongo "oe" va a sostituire l'umlaut "ö") e firmato per la Spiegelei (nella quale militavano, tra le altre, le band Brainstorm e Kraan), il gruppo pubblica un secondo LP omonimo, conseguendo risultati stupefacenti. Il disco si apre con "Schwebebahn", un brano che esprime sonorità vicinissime ai King Crimson più eclettici ed insofferenti, con un tappeto di batteria incredibilmente articolato, chitarre e tastiere inquietanti, interventi ai fiati e al violino che omaggiano in un sol colpo personaggi del calibro di Ian McDonald, Mel Collins e David Cross; in altri tre brani, la band subisce chiaramente l'ascendente dell'allora gruppo al servizio di Peter Gabriel (incredibilmente emulato anche a livello vocale): "Love My Dog", "Nürnberg" e "Deathwatchbeetle" sembrano saccheggiati direttamente dalle session di "Trespass", "Nursery Cryme" e "Foxtrot", con il primo che si sostanzia in una ballata delicata sul genere di "Happy The Man", il secondo che richiama alcune formule barocche su cui si innestano deliri tipicamente gabrielliani, ed il terzo che, con i suoi quasi 18 minuti di durata, rappresenta di fatto una seconda "Supper's Ready". "Honeypot", infine, che chiude il lato uno, riunisce magistralmente le due influenze sopra menzionate: da un lato il romanticismo seducente tipico dei Genesis più sognanti, dall'altro le spinose esuberanze dei Crimson più nevrotici. La band darà prova di ulteriore valore nel prosieguo della sua carriera, continuando a pubblicare negli anni '70 due ottimi album sempre connotati di elementi teatrali e surreali ("Clowns & Clouds" e "Rare Birds", rispettivamente del 1976 e del 1977), virando nel decennio successivo verso un rock fin troppo asciutto, assai poco avvincente. Prima di questo cambio, l'organico (ridotto ad un quintetto con la perdita dei fiati) fa in tempo a registrare nel 1978 un magnifico doppio album dal vivo, intitolato "Hoelderlin Live Traumstadt". Attingendo da tutti i lavori eccetto l'esordio discografico (dall'album qui recensito viene estratto il solo "Schwebebahn") e sublimato anche dalla presenza di due inediti ("Die Stadt" e "Soft Landing"), è considerato da taluni il loro lavoro migliore, giacché permette di apprezzare una band in grado di attingere dal repertorio più trasversale con impavido ed invidiabile modus operandi. E' l'ultimo disco valido prima dell'inevitabile ingresso negli anni '80, con tutte le conseguenze negative che ciò comporta: "New Faces", pubblicato a metà del 1979, proietta l'organico nella plastica modernità del nuovo decennio, presentando una grafica digitale che, abbandonate le suggestioni acquarellate del periodo post Pilz, risulta fredda e asettica, proprio come la nuova direzione musicale, castrata dell'avvincente complessità progressiva sopra ampiamente descritta, pur in presenza di buone idee; con "Fata Morgana", di due anni dopo, si tocca il fondo, virando il gruppo verso soluzioni sterili, dolosamente in bilico tra sonorità prosciugate e stantie modernità che offrono ben pochi spunti di interesse. |
Christian Grumbkow / acoustic & electric guitars |